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A che ora torna tua figlio?

In questo insanguinato momento storico di stragi del "sabato sera", si fa particolarmente attuale il dilemma inerente l'orario di rientro a casa dei figli.
E' bene fissare una regola, un limite massimo, oppure lasciarli liberi di tornare all'alba , con l'aria da reduci, appannati, obnubilati dal sonno ?
Che posizione prende la nostra moderata Rovigo tra la permissiva Riccione, patria di quell'adolescenza che sembra voler barattare il giorno con la notte e Appiano Gentile (Como) dove la notte è vietata ai minori per via di un sindaco proibizionista ?
Come vive il problema il Polesine tra i forzati dell'alba e i sorvegliati speciali ?
Quando si deve tornare a casa in qualsiasi luogo o regione d'Italia e del mondo ?
Il divertimento ha un'età e una scadenza ? Finisce con un divieto e un orario limite ? O solo quando si chiudono i club, le discoteche e gli occhi ?
Illustri psicopedagogisti della statura di Matteo Lancini, pongono l'accento sul fatto che l'adolescenza è l'età dell'esplorazione, della scoperta di se stessi nel mondo e vedono quindi in maggior pericolo un giovane vittima del proibizionismo, di quanto lo sia quello che tira tardi la notte con gli amici.
Il vero rischio è dentro, non all'esterno del giovane.
A questa scuola di psicopedagoghi appare piuttosto rischioso un modello familiare eccessivamente accuditivo e protettivo : ci sono genitori che rappresentano il mondo esterno popolato di mostri ed eccessivi pericoli da cui tenere lontani i figli. Un ragazzo deve anche uscire di casa, imparare a conoscere la realtà esterna, non solo a difendersi dal mondo. La famiglia - in quest'ottica psicopedagogica - deve essere un porto affettivo da cui il giovane sia libero di uscire e ritornare. La famiglia dovrebbe quindi, più che accanirsi in un rigoroso rispetto degli orari, instaurare un dialogo ampio che investa il rapporto generale tra diritti e doveri, preparandoli ad una vita da adulti autonomi, ma flessibili, con una propria esistenza piena.
Secondo la psicoterapeuta Paola Scalari, troppi genitori oggi hanno timore di assumersi la responsabilità di un ruolo chiaro, definito. Sono talmente impauriti alla prospettiva di alienarsi l'affetto die figli che evitano lo scontro, proponendosi alternativamente come complici, amici, piuttosto che come genitori. Secondo questa scuola psicoterapeutica il lassismo eccessivo priverebbe l'adolescente di una componente indispensabile allo sviluppo equilibrato : il senso della sfida, avere regole forti per sperimentare la capacità di contravvenirle. E' nel duello tra ordine e trasgressione, obbedienza e indipendenza, che il giovane esplora la sua forza e prende reale consapevolezza della sua identità : il contrasto con i genitori viene così vissuto come benefico fautore della crescita. Secondo questa scuola di pensiero, un adolescente che non si sia arrabbiato, ribellato fino alle soglie dell'odio, non impara a crescere. Perché questo avvenga in maniera equilibrata, questo figlio che contesta deve trovarsi di fronte a figure forti, non ad un alleato sempre pronto a giustificarlo e a permettergli qualsiasi cosa, senza restrizioni di sorta. La regola deve comunque essere ragionevole, ma il limite - una volta imposto - deve essere mantenuto con fermezza. Essenziale è la coerenza che non deve rappresentare un ostacolo al divertimento, ma piuttosto un confine che aiuti il ragazzo a trovare i confini della sua identità.
Quale delle due scuole di pensiero è maggiormente nel giusto ? Quella permissiva che vorrebbe educare preventivamente il senso di responsabilità, il "dentro" degli adolescenti, per poi lasciarli volare in un cielo di conquistata libertà, oppure quella proibizionista che privilegia un certo rigore dei genitori, atto a sollecitare il senso della lotta, della presa di coscienza della propria identità nei giovani ?
Che non ci sia una scuola di mezzo, un intelligente compromesso, un modo per non ridurre gli adolescenti a incontrollati fruitori di troppa libertà, ma neppure a cenerentole della mezzanotte, repressi figli di troppa severità ?
Eppoi non si può generalizzare, non esistono regole matematiche che vanno bene per tutti ; ogni caso è un singolo caso, ogni giovane va considerato e preso in esame a seconda delle sue naturali doti umane ed intellettuali.
Certo è che questo resta un problema grosso, troppo spesso insanguinato da morti inutili. Forse ci vorrebbe un'educazione al divertimento, che insegnasse quanto è indispensabile dormire un ragionevole numero d'ore di sonno per notte, che insegnasse una cultura della salute, della vita sana e quindi del rispetto di se stessi e degli altri. Questa provvidenziale cultura del divertimento dovrebbe diventare istituzionalizzata, come l'insegnamento della matematica, del latino, della filosofia.
Ma si può insegnare il buonsenso, in Polesine e altrove?

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 27 Dicembre 2003

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