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FORESTA DI SIMBOLI I pittori simbolisti italiani a confronto con i maestri Klimt e von Stuck

Ci è apparso un avvenimento di rara eccezione riuscire a concentrare in una mostra d’arte un vasto ventaglio di stati d’animo, quasi soprassalti del cuore. Eppure, chi percorre le otto sezioni tematiche dell’esposizione patavina Il Simbolismo in Italia, visibile dal 1 ottobre 2011 al 12 febbraio 2012, non può sottrarsi al clima che i curatori Fernando Mazzocca, Carlo Sisi con Maria Vittoria Marini Clarelli, hanno saputo evocare, soprattutto nelle ultime sezioni, dove poeti come Baudelaire e Rimbaud, insieme al nostro D’Annunzio, si sarebbero sentiti di casa, perfettamente inseriti in spazi consonanti con la loro visione di arte incontaminata dalle problematiche sociali, dove la realtà apparente, quella percepibile con i sensi, nasconde una realtà più profonda e misteriosa, improntata ai grandi valori dell’umanità, quali: il senso della vita, la morte, il sogno, il mito, il mistero, l’enigma, valori che il tecnicismo minacciava di distruggere.
Altro grande merito della mostra, è quello di essere veramente la prima che ha volto lo sguardo al Simbolismo in Italia nella sua totalità. Sappiamo bene che non è possibile dividere le correnti artistiche in compartimenti a sé stanti, quindi il “trittico” poesia, musica e arti figurative sembra ispirato di pari passo dagli stessi temi di farsi avulso dalla realtà, volto ad una morbida e dissimulata sensualità che sembra cogliere le remote radici dell’essere. Se Parigi gode il primato della prima mostra di Nabis, nel 1891, Milano risponde pronta con la prima Triennale di Brera, prefiggendosi, fra l’altro, di dare luce alle nuove esperienze “antiaccademiche”. Si sa che le novità possono creare dissensi (Picasso docet) oltre a perplessità e scandalizzati pensieri, quindi, ammirando nella mostra padovana, la Maternità di Gaetano Previati, così onirica e volutamente sfatta, non stentiamo a credere alla querelle che avrà scatenato nell’esposizione milanese, soprattutto perché contrapposta alla versione più realistica, proposta da Le due madri di Giovanni Segantini. Va da sé che il fruitore d’oggi si senta più vicino ad una voce innovativa, scevra da nostalgie veriste. Gli autoritratti della prima sezione sono tutti degni d’interesse, ma ci siamo soffermati con particolare interesse su quello del Previati stesso, incuriositi anche dal polverone che aveva saputo sollevare. Una delle opere – a nostro giudizio – più impressionanti e quindi capace di creare l’inquietudine tipica del miglior simbolismo, è l’opera di Mario de Maria, Luna. Tavole di un’osteria ai Prati di Castello, per la presenza/assenza dell’omicidio consumato, misteriosa per le circostanze soltanto alluse: si capisce che lì è stato sparso del sangue, ma non si vedono cadaveri e la luce lunatica accende morbose fantasie.
Uniformandoci a quanto scrisse in proposito Henry-Frédéric Amiel, va sottolineato come in questa esposizione, il paesaggio sia più che mai ‹‹uno stato dell’anima››, ovvero un sentimento panico della natura dove primeggia il fascino baluginante delle nebbie, dei bagliori lunari, in diretta simpatia con la psicologia ipersensibile degli intellettuali fin de siècle. Staffetta di questo tema è appunto l’Isola dei morti di Böcklin nella versione di Otto Vermehren, sottolineando anche l’angoscia di Pelizza da Volpedo, mascherata con teschi, edera e violette. Così la natura si fa velato e disvelato specchio degli artistici rovelli interiori.
La donna è poliforme: sfinge (Bistolfi), sirena (Sartorio), Cleopatra (Previati), per raggiungere l’acme insuperato nei due grandi del Simbolismo tedesco, esposti anche in Biennali veneziane che brillano nelle sale ultime dello Zabarella con Il Peccato di Franz von Stuck e la Giuditta di Gustav Klimt, a noi apparsa come il capolavoro dei capolavori, dotata persino di una capacità medianica di creare un transfert tra se stessa e il fruitore. Sembra che non siamo noi ad ammirarla, ma lei a guardarci, seduttiva e minacciosa, ambigua e stregonesca femme fatale, dalle mani artigliate, sovraccarica di gioielli. Difficile non identificarla con Alma Malher che ammaliò – se ci passate l’ossimoro – in contemporanea successione, artisti quali Malher, Gropius, Kokoscha e Werfel, lasciando il cuore di Klimt velenosamente infranto.
Grazia Giordani
PUBBLICATO VENERDì 28 OTTOBRE IN ARENA, GIORNALE DI VICENZA E BRESCIAOGGI

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 28 Ottobre 2011

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