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Gli Stati Uniti di Hopper

BOLOGNA, PALAZZO FAVA- PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI
Edward Hopper 25 marzo-24 luglio 2016
Non si era mai vista una folla così numerosa di visitatori ad un’esposizione d’arte nel capoluogo felsineo. Una fila interminabile di appassionati, provenienti da molte parti d’Italia e dall’estero, in sosta paziente davanti all’entrata di Palazzo Fava a Bologna, per visitare la mostra Edward Hopper (25 marzo-24 luglio 2016), organizzata da Artemisia Group, in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Genus Bononiae Musei nella Città.
Nell’eccezionale occasione ci è stato dato ripercorrere la carriera del pittore, attraverso cinquantotto capolavori provenienti dal Whitney Museum di New York, custode di oltre tremila opere, tra dipinti, disegni ed incisioni, ricevute in eredità dalla moglie Josephine nel 1968.
Lungo le sale espositive si snodano sei sezioni, tematiche e cronologiche al contempo dalla formazione accademica agli anni di studio a Parigi, quando l’Artista fu toccato dal movimento impressionista, fino ai capolavori dagli anni Trenta ai Cinquanta, per arrivare alle intense immagini dell’ultimo periodo.
Tra gli interpreti più innovativi della tradizione realistica d’oltreoceano, Edward Hopper è considerato il cantore dell’America rurale, contrapposta a quella delle grandi metropoli, brulicanti di un’umanità spesso alienata. A questo punto, difficile trattenerci dal raffronto con Grant Wood. Un’altra declinazione della solitudine affollata: Hopper nel nord est, Wood nel profondo sud. La cristallizzazione del tempo breve che non conosce il tempo circolare se non nella fissità dell’immagine sottratta al vuoto dell’esistere. Le pompe della benzina abbandonate (‹‹Gas, 1940››, le donne semisvestite in attesa davanti ad una finestra o ad una porta (‹‹Morning in a City,1944››), le stanze da letto vuote, i letti sfatti, i personaggi dallo sguardo dell’incomunicabilità, le ombre che si allungano sulle strade illuminate dai lampioni, gli uomini seduti al bancone di un bar che bevono a capo chino, simboleggiano il disagio di un vivere che sembra sospeso tra il vuoto, il silenzio e l’immobilità. Figure bloccate, sospese, ferite da un’inerzia più coinvolgente di qualsiasi convulso movimento, seppure incapaci di reagire e di dare un senso al loro vivere, trovando soddisfazione nella quotidianità.
Con Hopper ha inizio la pittura americana, perché fino a quel momento gli States vivevano l’arte come importazione europea. In contemporanea, inizia un capovolgimento dei valori. L’uomo non è più considerato a misura del suo successo, ignorandone i sogni e la vita interiore. L’Artista cavalca l’ossimoro di mettere in discussione il sogno americano, indicando la strada per una rinascita, conquistando una vita di maggiori consapevolezze.
Citazioni di De Chirico e persino di Piero della Francesca, per non parlare di Degas, ci hanno molto impressionato. Denso di suggestione il suo autoritratto. Capolavoro immenso ‹‹Soir bleu, 1914›› che avrà almeno in parte ripagato la delusione di chi sperava di trovare in mostra il famosissimo ‹‹The Nighthawh››. Non tutto si può avere e una mostra così è già strabiliante.
CURIOSITA'. Grazie a una particolare installazione posizionata al secondo piano di Palazzo Fava, attraverso un proiettore è possibile sedere su una sedia ed 'entrare' a far parte del quadro ‹‹Second Story Sunlight››: è ormai di moda infatti lasciare che i visitatori portino con sé un ricordo personalizzato delle mostre d'arte, attraverso giochi di selfie e scatti da condividere per dire: Io c'ero!.
Grazia Giordani

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 14 Aprile 2016

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