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La malattia dell'"essere perfetti"

La Rupe Tarpea, quella da cui i nostri padri latini gettavano giù i neonati difettosi, esiste ancora. Metaforicamente parlando, è una rupe ideale da cui è spinta a gettarsi giù quella parte dell'umanità odierna che preferisce annientarsi, o farsi annientare, piuttosto che vivere con menomazioni. Tutti vorremmo essere integri, vivere in perfetta salute e decoroso aspetto fisico, tutti siamo spaventati dall'"anomalia", ma la vicenda del ragazzo che ha aiutato l'amico a suicidarsi, comparsa a grandi titoli su tutti i quotidiani nazionali, nasconde - secondo l'autorevole parere di uno psichiatra dell'esperienza di Vittorino Andreoli, espresso nella rubrica che tiene nell'inserto del "Corriere della Sera" - "un rapporto a due piuttosto diverso dall'amicizia. E personalità ancora infantili".
"Amicizia, atto d'amore, eutanasia - afferma Andreoli nel testo raccolto da Anna Maria Speroni -. Per aiutare la storia di Guido che ha aiutato a morire con cinque iniezioni di insulina il suo amico Stefano, colpito da una grave malattia cardiaca, sono state usate queste parole. Forse un po' a sproposito"
Secondo lo psichiatra, "Stefano non era un malato terminale, né tanto meno un anziano sofferente. Ma un ragazzo di ventisette anni, sportivo, bello, intelligente, che fino al giorno della morte aveva condotto una vita priva di pesanti limitazioni. Dopo la scoperta della malattia, tre anni fa, aveva continuato ad allenarsi in palestra, a uscire con gli amici. Non era una patologia degradante la sua, una di quelle che bloccano sulla sedia a rotelle e tolgono l'autosufficienza. Ma Stefano non era riuscito ad accettarla. La diagnosi deve essere stata una delusione fortissima per lui. E l'idea di rinunciare allo sport, come avrebbe dovuto fare, inaccettabile. Meglio morire, piuttosto che sopportare la frustrazione di un limite. Come se esistessero soltanto due alternative: essere perfetti o il nulla. Questa convinzione è il segno di forte rigidità. E, come ogni rigidità, svela una personalità immatura. Ma è anche in sintonia con il mito dell'uomo del terzo millennio, attivo, perfetto, di successo, pieno di salute".
Oltre al "mito della perfezione", la nostra riflessione volge il suo interesse anche allo stato di soggezione di Guido (l'amico "omicida" per estremo atto d'affetto), vittima - piuttosto che carnefice - obbligato da una violenza psicologica che l'ha spinto al compimento di una azione che potrebbe lasciargli sensi di colpa per tutta la vita.
Ancora Andreoli afferma: "Stefano chiede all'amico di compiere un gesto contrario alla legge che gli procurerà dei guai. Condanna il suo migliore amico. Sfrutta l'amicizia per spingere l'altro a commettere un reato. Dei due, che si conoscevano da dodici anni, era Stefano il leader. Quello estroverso e pieno di amici. Guido era timido e chiuso. Da tre anni, cioè da quando aveva scoperto di essere malato, Stefano gli diceva di voler morire e gli chiedeva di essere aiutato a farlo. Guido ha ceduto: era uno che ubbidiva al suo capo".
Insomma, illuminati dalle affermazioni dello psichiatra e scrittore veronese, ci sembra di capire che due siano i punti esecrandi in questa vicenda: il culto della perfezione fisica (se non sono bellissimo, perfetto non sono degno di vivere) e - guaio interno al guaio -, l'incapacità di porre fine ai propri giorni, senza il concorso di un innocente che diventerà vittima e carnefice in un solo istante.
Lo psichiatra legge dentro questi dolorosi e contorti avvenimenti la volontà di Stefano di porre fine a una vita che considerava ormai mutila ed umiliante, sopraffacendo la volontà dell'amico più debole, lasciandogli una eredità di colpevole solitudine interiore.
"Entrambi, con i loro comportamenti, dimostrano di vivere in uno stato psicologico ancora infantile. Uno chiede di morire, l'altro si trasforma in giustiziere: un delirio di onnipotenza segno ulteriore della loro immaturità".
Il culto dell'immagine imperante e martellante è certo in buona parte la malefica molla che ha messo in atto questa anomala forma di eutanasia. Donne bellissime sorridono dallo schermo televisivo e cinematografico; uomini superpalestrati ammiccano dalle foto sui settimanali. La gente non accetta menomazioni. La gente vuol essere "super", vuol essere "iper". Se non ce fa più a vivere, sarebbe comunque meglio che almeno provvedesse da sola.

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 12 Settembre 2006

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