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Mito antiamericano

Grandi firme della stampa nazionale ed estera hanno affrontato - dopo i dolorosi ed insanguinati fatti americani -, il problema del risentimento verso la potenza degli Stati Uniti.
Già in un nostro precedente articolo di costume avevamo larvatamente sollevato la questione, che ora intendiamo approfondire, alla luce di polemiche che andiamo leggendo sempre più accese e, in parte, tendenziose.
Questo sentimento di - come potremmo chiamarlo? - avversione, probabilmente ha radici in una "invidia" europea, verso una nazione molto più giovane, senza tradizioni storico-culturali forti come quelle del Vecchio Continente, e a cui quindi non perdoniamo, un successo tecnologico-economico che ci appare essere ingiusto, raffrontandolo al retroterra che l'Europa può vantare al confronto.
Insomma ci stiamo comportando come quelli che sono invidiosi di un nuovo ricco incolto a cui non si perdona la fortuna economica, supportata da un'assoluta ignoranza in senso lato.
Gli americani ci appaiono "ragazzoni", ornati da cravatte impossibili, dimoranti in terre senza un passato storico-artistico; persino poveri di una gastronomia da acquolina in bocca, e quindi - pur rammaricandoci per la sorte cruenta che li ha ultimamente colpiti -, non siamo tutti e sempre dalla loro parte, tirando fuori anche loro passate prepotenze belliche e loro soprusi e loro opportunismi.
A tale scopo, ovvero nell'intento di spiegare il mito antiamericano che brulica nell'aria dell'opinione e della stampa mondiale, viene in soccorso il mito greco che aveva ideato la figura di Eris, che si presenta come un divinità a doppia faccia, una divinità sdoppiata, con un volto crudele, della discordia e della rivalità , e l'altro benefico dell'emulazione sana, intesa in senso positivo.
Quest'ultimo volto benefico, da Nietzsche è definito "invidia", naturalmente in senso buono, quasi una rivalità formativa.
Se ai tempi del mito greco l'emulazione-invidia era ben accolta tra i mortali, diversa era la situazione quando la medesima partiva dagli dei verso chi avesse peccato di eccessiva potenza o eccessiva bravura.
Chi se ne fosse reso colpevole, non poteva infatti essere emulato e neanche invidiato dai suoi simili. In questa situazione, si dice che fossero cadute sia Atene che Sparta, due potenze che avevano peccato appunto di eccesso di potenza. Si dice anche che questa fu la causa del loro declinio.
Il fatto è che la libertà greca era concepita come un bene particolare, nel senso che la situazione sociale doveva essere tale, ovvero libera, in modo che l'emulazione potesse restare aperta a tutti.
Se qualcuno era ritenuto tanto superiore da non poter più essere emulato, allora nei suoi riguardi scattava la misura difensiva e cautelativa dell'ostracismo, provvedimento di espulsione il cui scopo era sì quello di eliminare un tiranno, ma al fine di mantenere vivo - bene insostituibile alla democrazia e alla libertà -, il sentimento agonico, sentimento dunque essenziale alla sopravvivenza della libertà di poter competere, o di poter invidiare nel senso nietzscheano, più sopra ricordato del termine.
Indubbiamente, tale mentalità non è adattabile ai nostri giorni, come le misure descritte non sono applicabili alla potenza inimitabile degli Stati Uniti, ma il parallelo in senso lato ci appare calzante. E ancor più ci appare degno di nota il rilievo sugli "ostracismi" anche politici, non solo nazionali, ma anche polesani, per cui chi emerge per qualità intellettuale invidiabile, può essere messo al bando e defenestrato in quanto visto con occhio malevolo da chi non potrà raggiungerlo mai, sentendosene schiacciato sempre...

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 12 Settembre 2006

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