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Suicida per vergogna

Sembrerebbe la trama di un film francese, livido e morboso, il fatto di cronaca che abbiamo letto in questi giorni, inerente il suicidio di un giovane che si è tolto la vita per vergogna, sorpreso dalle forze dell'ordine in compagnia di una "lucciola".
Sembrerebbe, ma purtroppo è un fatto vero.
"Mi lasci pure qui, faccio due passi" - sono state le ultime parole del giovane, rivolte al tassista che l'aveva riaccompagnato verso casa, dopo che - colto in flagrante - Antonello aveva lasciato l'auto sequestrata nelle mani della polizia. Quei due passi fatali l' hanno portato in un luogo appartato dove si è sfilata la cinghia dei jeans, si è tolto gli occhiali, e si è impiccato: non ha retto.
Il giovane ha deciso di morire per la vergogna, per la paura di dover spiegare al padre - che da tre mesi gli aveva regalato la Punto -, dopo tre auto sfasciate in incidenti stradali; per l'angoscia di dover spiegare la sua "debolezza"alla fidanzata Elisabetta che vive a Bergamo e che avrebbe sposato dopo aver preso la laurea. L'aveva sentita al telefono poco prima dell'incontro con la prostituta albanese, e tra loro era intercorso un dialogo breve e il solito appuntamento per il sabato
"Una vicenda atroce"- commenta il pm, di turno mercoledì notte . È stato lui a firmare il provvedimento di sequestro dell'auto.
I discorsi del "dopo" lasciano il tempo che trovano. Resta il fatto che da un reato per la prima volta contestato in Veneto (Treviso), è sortita una tragedia senza scampo, senza possibilità di ritorno. Più ancora che occuparci della questione se sia esagerata la criminalizzazione del cliente, accusato di favorire la schiavitù delle prostitute, in una simile circostanza. o se "questa tragedia sia il risultato di norme inutilmente proibizioniste", a noi sembra giusto indagare sul retroterra morale e sociale, su quanto fa da contorno e da sfondo alla vita del giovane che ci pare di capire fosse soffocato dai perbenismi esteriori, e forse proprio per questo, bisognoso di trasgressione .
"Se fosse qui, lo perdonerei, cercherei di capire - ha detto la fidanzata l'indomani dell'accaduto - ". Ma, anche questo è un fatto che non si può verificare a posteriori, troppo facile affermarlo, a tragedia avvenuta.
Il vero killer in questa vicenda non è tanto - a nostro avviso - l'eccessivo zelo di chi ha preso alla lettera il reato di "favoreggiamento", o la debolezza di un giovane a cui non ci sentiremmo certo di dare dieci e lode per le auto sfasciate e la poca fedeltà alla morosa, ma che comunque è un essere umano passibile di errori (visto che nessuno è perfetto!), il vero killer - dicevamo - è il perbenismo, la moralità bigotta di provincia, dove tutto si può fare , basta che non si sappia, dove tutti sanno i fatti di tutti e mai si fanno i fatti propri.
Il fratello del suicida afferma: "Era limpido come il sole, non aveva segreti. Il lavoro andava benissimo, mio padre e mia madre sono giovani, avrebbero capito. (…) Non denunceremo nessuno, anche se non capiamo perché i carabinieri sequestrano la macchina di un "bocia" e lasciano in strada le prostitute. È come quando sequestrano le sigarette di contrabbando e lasciano libero chi le smercia".
E questo ragionamento - a nostro avviso - non fa una grinza.
Gli abitanti del luogo sottolineano che la famiglia di Antonello è "medievale", un po' troppo parrocchiale. Ed è proprio stato grazie all'attività della parrocchia che il ragazzo aveva conosciuto Elisabetta. Due anni fa si erano incontrati in un campo-scuola lavoro organizzato dagli oratorii. Lei ha ventisei anni, vive a Bergamo, a ottobre diventerà ingegnere. Qualcosa doveva mancare nel loro rapporto - viene persino troppo facile pensare - se Antonello è andato in cerca di "quel" diversivo.
L'amico Roberto lo ricorda come "un ragazzo normale, non avresti mai immaginato che potesse essere uno che andava con le prostitute".
La verità non verrà mai a galla: ora giace sotto la lapide di una tomba.

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 12 Settembre 2006

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