I racconti di Grazia


Il balletto

Il balletto
Sebbene avesse soltanto trent’anni, invecchiava Ornella. Sarà che già a venti era vecchia e forse lo era addirittura prima di nascere, figlia di un matrimonio combinato tra un dandy di provincia e una zitellina di buona famiglia, dotata di mille virtù, ma priva non dico di sex appeal, almeno di qualche attrattiva. La buona signora Ines, dalla camminata anserina per via dei piedi piatti che la facevano caracollare in maniera buffa, il capo sguarnito di capelli, le labbra a forma di ferita, come quelle di un salvadanaio, non perdeva una messa quotidiana o un rosario serale, faceva letture edificanti, ma piaceva meno di niente al capriccioso consorte.
Ornella, più colta della madre e bruttina quanto lei, anche se di una bruttezza – come dire? – meno espansa, vista la sua modesta mole e statura, non aveva avuto pretendenti, né negli anni liceali, né in quelli universitari e – a vero dire – raramente il suo cuore aveva palpitato per qualche ragazzo.
Ecco perché, in quei giorni, stava meravigliando se stessa per l’interesse che andava provando per un bruno dirimpettaio. Proprio di fronte a casa sua c’era una rivendita di radio con tre commessi abili anche nel ripararle. Ancora non si parlava di TV e i cd erano merce lontana nel tempo. Eravamo prima degli anni Cinquanta, in un momento postbellico di ripresa della nostra nazione.
Alfredo, si chiamava il ragazzo, ventiduenne, quindi piuttosto giovane rispetto ad Ornella , oltretutto di condizione economica più disagiata, dotato solo di maggior avvenenza.
Bastarono due o tre passeggiate lungo il Po di Volano, così suggestivo all’ora del tramonto, macchiato di porpora e oro, bastò l’offerta di un gelato e, quindi, un bacio, breve, dato senza convinzione, ad accendere il sangue della ingrigita ragazza.
Il padre, alla richiesta di fidanzamento, da parte di Alfredo, dimostrò diffidente condiscendenza. La madre, fu più cordiale e benevola, tanto temeva, alla sua morte – come spesso andava ripetendo – di dover lasciare Ornella sola.
La giovane, esultante, si montò la testa con sogni di grandezza. Bisognava organizzare una festa di fidanzamento. E fummo coinvolte la cuginetta Bice ed io, dodicenni spensierate e molto birichine.
La neo fidanzata fece lucidare il pianoforte a coda, riprese in mano gli spartiti, abbandonati da tempo. Strimpellò per una settimana musiche romantiche e – a suo avviso - adeguate. Non contenta della cuoca di casa, si rivolse a un pasticciere rinomato perché confezionasse bigné e dolcetti a sorpresa, per il gran giorno.
Cucì abitini di carta crespata che avremmo dovuto indossare per un balletto di fantasia, quasi lolite-odalische a impreziosire l’evento.
Alfredo, nella domenica dei festeggiamenti, se ne stava seduto quasi fosse sulla seggiola del dentista; i suoi genitori, due campagnoli imbarazzatissimi, non proferivano verbo. Ornella pigiava sui tasti del pianoforte, accennando anche qualche timido gorgheggio. La signora Ines e lo scettico consorte non battevano ciglio. «Che sian già morti?» - mi sussurrava l’impertinente Bice, già vestita di tutto punto nella fiammante carta crespata.
Quando la cameriera portò in tavola i vassoi, il dessert e il rinfresco, avevano l’aria ferita e desolata di un campo di battaglia, perché tra un volteggio e l’altro della danza, le nostre dita di monelle – passando nel salottino dove stazionavano i vassoi – ghermivano bocconi qua e là, scompigliando le composizioni, decapitando gli angioletti di pastafrolla, svuotando i bignè portati alla bocca con frenetici morsi.
Un po’ per questo, molto per lo scarso entusiasmo del futuro sposo, il fidanzamento andò presto a monte.
Eppure, per tutta la vita Ornella ci serbò rancore, persuasa che la colpa dell’insuccesso fosse da attribuire al nostro balletto.
«Non eravate aeree, non sembravate farfalle, non eravate sinuose, coinvolgenti, non andavate a tempo, sembravate ubriache…»
Ma, avevo dimenticato di dire che tra un volteggio e l’altro, Bice ed io, passando dallo stanzino dei rinfreschi, prima che fossero serviti, oltre ad ingozzarci a casaccio, c’eravamo scolate una bottiglia di limoncello. Che sia stato per questo? (g.g.)

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 18 Marzo 2009

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