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Jezabel
di Irène Némirovsky, Adelphi

Il vizio della bellezza
Forse commettiamo un po’ tutti l’errore – quando leggiamo un capolavoro – di aspettarci che anche le opere precedenti o seguenti dello stesso autore rivelino il medesimo talento letterario. E così, leggendo Le braci avremmo voluto che tutta la scrittura di Sandor Màrai fosse a quell’altezza e ora, leggendo Jezabel di Irène Némirovsky (pp194, euro 16,50) che Adelphi, in procinto di pubblicare l’opera omnia della sventurata autrice, trucidata ad Auschwitz nel 1942, ci propone nella bella traduzione di Laura Frausin Guarino, avremmo sperato di ritrovare in queste pagine la rara grazia di Suite francese.
Sembra proprio che certi miracoli si verifichino con parsimonia e ogni romanzo dovrebbe essere letto per sé stesso, ma è umano ed inevitabile fare raffronti. Uscito per la prima volta nel 1936, di Jezabel si erano perse le tracce. Pare che Fanny, la madre – morta più che centenaria nel 1989, con cui l’autrice ebbe un burrascoso rapporto -, custodisse il manoscritto originale dentro una cassaforte. E forse proprio il paradigma materno è stato fonte di ispirazione per figure femminili non proprio esemplari, come già a suo tempo si è detto, recensendo anche David Golder.
Se in Suite francese, scritto quasi in presa diretta, abbiamo ammirato la “comédie humaine” di struggente valenza vissuta dagli abitanti di una Parigi occupata dai nazisti, in Jezabel più che un affresco a vasto raggio, incontriamo il ritratto femminile di una “femme fatale”, una donna che fin dagli anni della sua prima giovinezza ha posto l’accento sul potere della bellezza estetica e sulla voluttà che ne deriva. La bellezza raggiunge il parossismo di un irrinunciabile vizio, quasi una fatale condanna.
Gladys Eysenach non ha occhi che per se stessa e si cura soprattutto con belletti, massaggi e artifici, per la conservazione di un aspetto esteriore che non denunci la sua reale età anagrafica. Gli uomini saranno dunque intercambiabili pedine nelle sue mani, anche quelli che parrebbero aver avuto più consistente peso nella sua volubile esistenza – vedasi Dick, il secondo marito – che afferma sopra tutti di rimpiangere.
Accusata di aver ucciso il suo giovane amante nella spensierata Parigi anteguerra dove i ricchi sembrano vivere in un mondo dorato sopra le righe (lo stesso mondo della Némirovsky, prima della sua terribile fine), dove tutto sembra scintillare di luci troppo forti e dove le coscienze appaiono essere fatue e prive di sostanziose consapevolezze (quasi si vivesse dentro un dipinto di Mario Cavaglieri!), Gladys – in pieno contrasto con le aspettative degli astanti, non chiederà di essere assolta.
Ancora molto bella, tanto che sembra il tempo l’abbia sfiorata appena, mentre il clima d’attesa nell’aula di tribunale si fa sempre più gonfio di gossip – prestando l’estro alle invidiose presenti di fare un ripasso del folto carnet dei suoi numerosissimi amanti – sembra nascondere una verità che sfugge al pubblico goloso di scandali, sovraeccitato e impaziente di impadronirsi dei suoi pruriginosi segreti.
Misteri che verranno svelati solo al lettore attento che sa leggere fino in fondo il peccaminoso dramma di una donna vissuta nella costante menzogna al fine di nascondere la sua reale età anagrafica. Menzogna che la spingerà a falsificare documenti, ringiovanire la figlia al fine di ringiovanire se stessa e soprattutto negare la possibilità alla figlia di amare liberamente e di essere madre in maniera normale, senza sotterfugi.
Gladys, disperatamente ostinata nel suo artificioso giovanilismo, non potrebbe mai accettare di essere nonna. Questo è il suo maniacale dramma. Questa è la sua fissazione che la spingerà a sacrificare la figlia, che la indurrà a calpestare quanti la attorniano, determinata – sessantenne – a mantenere il rapporto con un uomo che per età potrebbe esserle figlio e spingendola poi all’omicidio di quello che parrebbe essere un suo giovanissimo nuovo amante.
Sottolineiamo parrebbe perché un po’ di sorpresa bisogna pur lasciarla al lettore inorridito dall’umana tortuosità di una donna che non vorremmo avere per madre e tanto meno per nonna (soprattutto visto l’epilogo).
Grazia Giordani

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 06 Maggio 2007

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