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La colomba pugnalata
di Marcel Proust, Adelphi

La colomba di Proust
Perché un saggio sia accattivante, agile e coinvolgente più di un bel romanzo denso di novità e spessore, perché non ci induca presto allo sbadiglio, annoiati da tanto esibito sfoggio di pensiero, deve essere scritto da Pietro Citati. In questi ultimi decenni ci sentiamo di attribuire solo a lui la rara virtù di orafo di fino, cesellatore di preziosi metalli di cui studiare luci e sfumature, dosandone il brillio delle pietre incastonate ad arte. Se già lo avevamo apprezzato nelle biografie capolavori su Kafka, Goethe e Tolstoj, ci rafforziamo in questo nostro convincimento, riprendendo in mano La colomba pugnalata – Proust e la “Recherche” (pp.364, euro14) – apparso per la prima volta nel 1995 – che Adelphi ora ci ripropone, curando l’opera omnia dell’autore, con in copertina una suggestiva immagine di Marcel Proust ritratto da Bernard Annebicque..
Più che mai ci avvaloriamo nel convincimento per cui l’assunto di Citati in quanto critico letterario sia quello di interpretare un testo, non contentandosi delle apparenze, ma scavando così a fondo nelle vita del personaggio, da subirne un magico processo addirittura di identificazione, contagiando il lettore affascinato da questa sua subdola tecnica. E così Proust, la sua tortuosa vita sui generis e la sua mirabile opera diventano un unicum che non ci sbalordisce più, ma ci prende ed incatena dentro il laccio di una lirica magia.
Sentimenti contrastanti come quelli della felicità cercata di raggiungere a tutti i costi, contrapposti a quelli del dolore vissuto anche in forma totalizzante e traslata se ha colpito un amico dell’ipersensibile Marcel; l’amore edipico per la madre, scandagliato, vivisezionato con bisturi del ricercatore che non patisce disincanto, le squassanti nevrosi; l’asma terribile, devastante che parevano prepararlo a una meditatio mortis, quasi fosse già una morte installata dentro di lui, un sacro male che ci fa ripensare all’epilessia di Dostoevskij, malattia stranissima che lo martoriava, ma da cui pare non volesse guarire, temendo in rimpiazzo mali peggiori, tutto questo ci viene proposto dalla penna di Citati, sottile scalpello che mette a vivo pensieri carne e sangue del suo poliedrico eroe.
Il mito di greca memoria la fa da padrone in queste raffinate pagine; mito prevalentemente di lontana matrice, spesso biblico, talvolta onomastico, poiché il genio di Marcel non disdegna giocare col lessico, alla maniera di Joyce (vedi il cognome dei Guermantes su cui Proust gioca e rielabora “con più sapienza mitologica, ricchezza visiva e deliziose variazioni ironiche”). Per non parlare degli amori, anzi parliamone perché sono argomento di stuzzicante interesse – del nostro Marcel per uomini e donne (più uomini che donne), amori assoluti, gioiosamente massacranti com’è bene che tutto avvenga sopra le righe per un’anima così estrema. Il contrasto tra il Marcel Proust e Reynaldo Hahn, sovrabbondante, ipertrofico lo scrittore, essenziale per sobria eleganza il musicista-cantante, fa vivere ai due innamorati momenti di iniziale estasi. Ogni successiva rottura erotica, precipita Proust nella più ulcerante disperazione, ma poi si riprende – come si è ripreso dal lutto creduto insostenibile della madre – e nel suo cuore trova ora posto Alfred Agostinelli, autista segretario, cui pare Proust si sia ispirato per la figura di Alberatine ne la Recherche. Agostinelli se la dà a gambe, oppresso dalla gelosia del tormentato e tormentoso partner che – sperando invano di trattenerlo – gli aveva persino domato un aereo.
Superfluo sottolineare la tela magica su cui Citati dipinge figure reali proustiane divenute protagoniste della Recherche, per cui in Swann, troviamo tanto di Marcel, in tic, delusioni e malinconie. Impossibile non restare presi dal mistero del tempo – di scuola bergsoniana – il tempo reale e quello indotto, per cui gli interessati al caso hanno scritto fior di trattati.
Grazia Giordani

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 12 Novembre 2008

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