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Diario Piccolo
di Rosa Noci, Il Pavone

Condotti da un bambino in un viaggio nel dolore
Viviamo un’epoca attraversata da molti spauracchi: miseria, solitudine, disamore. Ma quella più forte è certamente la paura della malattia e se la malattia si chiama cancro, la paura diventa terrore. Per questo motivo leggere «Diario Piccolo» di Rosa Noci (Edizione Il Pavone, pp. 98, euro 9), pur rendendoci commossi partecipi di un viaggio nel dolore, apre un salvifico spiraglio sulla meta della speranza.
Prefato, con la grazia che gli è consueta, dalla penna delicata di Dino Coltro - scrittore e poeta che ha dedicato gran parte della sua vita allo studio delle antiche tradizioni popolari veronesi e venete, pubblicando una trentina di libri e il famosissimo «Lunario Veneto» - e introdotto dalle note scientifiche di Massimo Busani, il chirurgo che ha operato Rosa di neoplasia al seno, intervenendo con esito felice,. il Diario, ci apparirà forse piccolo per la brevità delle pagine, ma non certo tale in quanto al valore dei sentimenti. Infatti, l’amore è il vero protagonista di questa scrittura, quello che tiene unita strettamente una famiglia, prima serena e poi ulcerata dalla scoperta della malattia.
Ricorrendo ad un escamotage letterario, l’autrice prende in prestito la voce di un bambino che sarà l’ingenuo io narrante. «Ho dovuto fingere di non essere figlia per poter narrare di lei, della mia imperfetta, adorabile mamma».
E già Busani – introducendoci alla lettura – ci aveva preavvertito di come l’amore sia stato nella vita di Rosa “geneticamente trasmesso” e quindi essenziale nel superare il doloroso scoglio di aver patito il reiterarsi della malattia materna, rivivendo sulla sua persona lo stesso strazio, fortunatamente con epilogo diverso, perché «Rosa ha saputo riprendere il volo della vita».
Il bambino che ci racconta la storia di famiglia suscita immediata simpatia con i suoi ingenui stupori, il suo entusiasmo per le impareggiabili polpette della nonna (munita di una borsa porta-tutto, emula della Mary Poppins delle nostre fantasie infantili), col suo amore per la campagna, ricca di piante e di animali, anche quelli che normalmente creano repulsione («A me i lombrichi non fanno schifo. Poverini, anche loro sono creature di Dio e non fanno male a nessuno»). Attraverso la sua voce possiamo sentire il profumo e la normalità quotidiana di una famiglia unita, felice; ci è dato godere di tavole apparecchiate, di brevi soggiorni al mare con l’affettuosa nonna, di sorridere per le piccole schermaglie con la sorella più grande, finché non esplode la tragedia della malattia della nonna e – acutamente sottolinea Coltro - «La parola prima alta e sonora, si affievolisce nella stanchezza e debole si fa il gesto solitamente vivace; il camminare non trova più il passo della vita. In questa parte del libro, Rosa Noci acquista una capacità di introspezione notevole. Non usa più il tono pacato del diario, anche se i sentimenti ci sono ancora tutti, ma straziati, incapaci di ridare, con l’integrità di prima, l’amore, la serenità, la pacatezza del cuore».
Rosa ha patito la perdita della madre, raccontata dalla voce-schermo del bambino, ma – scrivendone - ha elaborato il lutto e, fatto importantissimo, ha ripreso a vivere consapevole di essere guarita della sua neoplasia al seno, potendo confortare a sua volta molte donne passate attraverso il suo calvario.
Grazia Giordani
Pubblicato in Arena mercoledì 11 febbraio 2009

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 11 Febbraio 2009

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