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Isola con fantasmi
di John Banville, Guanda

Il mare è ancora teatro di una grande storia
Si sa che le isole dense di mistero sono un luogo molto presente nella letteratura di tutti i tempi. Basterebbe pensare al Conte di Montecristo, il celeberrimo romanzo di Alexandre Dumas, al Robinson Crusoe di Daniel Defoe, all’ Isola del giorno prima di Umberto Eco, all’Isola del tesoro di Robert Stevenson, scomodando volutamente Shakespeare con la sua Tempesta, per rendersi conto che questo lembo di terra tuffato nel mare, spesso raggiunto da naufraghi, ha ispirato fior di scrittori.
Nemmeno John Banville, uno dei grandi della narrativa irlandese, - che soprattutto abbiamo amato per il suo romanzo Il mare (vincitore del Booker Prize 2005) e per i due noir Dove è sempre notte e Un favore personale con l’anatomopatologo Quirke, detective d’eccezione – ha saputo resistere alla lusinga di ambientare il suo nuovo romanzo in una terra circondata dal mare, proponendoci nel suo Isola con fantasmi (Titolo originale: Ghosts, Guanda, pp.251, euro15, tradotto da Irene Abigail Piccinini) un clima psicologico per nulla scontato, diverso dai canoni consueti.
Teatro dell’azione è un’isola aspra del mare d’Irlanda, popolata da gente schiva, asociale. E in quella terra solitaria approda una strana comitiva di sette naufraghi formata da: una fotografa, un anziano attore, la bella governante Flora, tre ragazzini e il lascivo Felix. A dar loro riparo, infreddoliti e affamati è una cupa e grande casa, piena di ombre e di oggetti del passato. Qui abita l’enigmatico professor Kreutznaer, esperto di storia dell’arte, con i suoi due assistenti, lo stravagante Licht e un innominato – voce narrante del romanzo – che da poco è stato liberato dal carcere. Stanno studiando l’opera di Vaublin, pittore olandese della prima metà del Settecento. L’arrivo dei naufraghi risveglia nei tre abitanti della casa il meccanismo insidioso delle memorie, suscitando un gioco perverso di incroci tra immaginario e reale, tra vita vera e suggestioni letterarie.
Appartiene alla realtà lo stesso capolavoro di Vaublin Le monde d’or? Sono reali i naufraghi o sono dei “fuoriusciti” dal dipinto? E inoltre, come spiegare la paura del professor Kreutznaer nei confronti di Felix? E la stessa voce del narratore, non sembra uscire dalla Tempesta di Shakespeare, visto che – imitando il comportamento dello shakespeariano mago Prospero - si propone di manovrare i destini dei sette naufraghi?
La bellezza del libro sta nell’atmosfera. E Banville non è nuovo in questa sua prodigiosa capacità di creare climi dell’anima torbidi ove si sente l’incombere di un’oscura minaccia, mentre si risvegliano fantasmi di azioni rimosse, che si pensava fossero del tutto cadute nell’oblio. Torna a galla un passato di vergogne quali autenticazioni di dipinti falsi, il debole per amori sconci, per non parlare di un omicidio.
Intervistato a proposito della genesi e dell’ispirazione di questa sua affascinante quanto complessa nuova opera, fatta anche di intertestualità con altri scritti celebri, Banville ha affermato: «I romanzi vengono dai romanzi. C’è tanta influenza della Tempesta, dell’ Isola del tesoro e anche di Robinson Crusoe, nel mio. Per tacere di Shakespeare, è noto che Stevenson e De Foe erano maestri della narrazione. Ma nel mio romanzo la trama, i colpi di scena, sono meno importanti rispetto all’atmosfera. È quella la vera ancora della mia storia».
E non sapremmo come contraddirlo poiché la penna raffinata di questo scrittore irlandese incide letterarie inquietudini anche nel nostro immaginario, affinando la capacità del lettore a percepire echi che continuano a risuonare per molto tempo, anche quando, con rammarico, si è chiusa l’ultima pagina dello stupefacente romanzo.
Grazia Giordani
Pubblicato lunedì 30 marzo 2009 in ARENA, GIORNALE DI VICENZA e BRESCIAOGGI

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 31 Marzo 2009

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