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Un colpo di vento
di Ferdinand von Schirach, Longanesi

Il male ci è centro ed ecco come può saltar fuori
Ci sono romanzi che portano, fin dalle prime righe, nel Dna, il destino di diventare casi letterari. Esempio lampante di questo fenomeno si evince dalla lettura dell’opera prima di Ferdinand von Schirach, autore di Un colpo di vento (Longanesi, pp.237, euro 18, traduzione di Irene Abigail Piccinini).
Per alcuni versi, l’atmosfera che si respira in queste pagine – quella creata dal crinale inquietante che separa un’esistenza decorosa da un assassinio efferato – potrebbe farci tornare in mente il clima del celebre film Un giorno di ordinaria follia dove abbiamo visto la storia di un uomo qualunque, oberato dai problemi quotidiani, impazzire e seminare terrore, mantenendo però un lato umano. Ma la similitudine è solo parziale, perché questa volta l’autore è un celebre penalista tedesco che, osservando quotidianamente gli orrori e le perversioni della vita di tutti i giorni, ci racconta casi realmente accaduti nella sua attività forense, introducendoci in maniera elegante nel mondo dei retrobottega giudiziari e delle questioni di filosofia del diritto. Quindi, il suo narrare nasce non dalla finzione letteraria, ma da una verità abilmente schermata, al fine di salvaguardare la privacy dei clienti.
L’originalità della silloge sta soprattutto nella costante arringa di difesa della dignità anche dell’assassino. Nel corso dei suoi undici racconti, il nostro avvocato-scrittore, passo dopo passo, immagine dopo immagine, spiega come si sia arrivati al punto in cui la sorella uccida il fratello o il medico uccida la moglie. Il crimine è, per von Schirach, sia la logica conseguenza di un determinato decorso della vita, sia casualità. Perché il male, purtroppo, è insito nella natura umana e quando ci si trova in determinate circostanze, può scatenarsi all’improvviso. Ed è qui che serve un difensore che spieghi agli altri com’è successo.
Nel primo emblematico racconto incontriamo il dottor Fähner (va da sé che il nome non è quello vero del cliente), medico di base, 2.800 mutuati, presidente di un circolo di egittologia, un uomo retto, ottimo professionista, devastato dal matrimonio con Ingrid che lo maltratta e insolentisce quotidianamente, inducendolo ad ucciderla. Si presenterà, per l’autore, il più problematico dei processi, in cui il colpevole diventa la vera vittima.
Molto toccante il terzo racconto Il violoncello in cui lo scrittore narra le vicende della giovane donna che un giorno somministra dei barbiturici all’amato fratello e poi lo annega nella vasca da bagno. («Confessò. Ma non fu solo una confessione, rimase seduta quasi sette ore davanti agli inquirenti a dettare la sua vita per farla mettere a verbale. Fece un resoconto completo. Cominciò con la sua infanzia e terminò con la morte del fratello.») Nei crimini descritti dall’autore, sempre con prosa prosciugata, tranchant, letterariamente incantevole, nonostante gli argomenti, contano soprattutto gli antefatti, le sottili motivazioni psicologiche avvertibili solo da un esperto del mestiere che sa chiedersi e chiederci interrogativi forti sulla colpa e sulla pena.
Fortuna è la tragica storia di una ragazza dell’Est che le sventure esistenziali conducono a fare la prostituta in Germania. Il suo cliente più importante, un disgustoso grassone, una mattina muore nel bel mezzo di una prestazione della malcapitata Irina. Sembrerebbe impossibile, eppure, incastonata nel racconto, accanto al crimine convive una storia d’amore che ci guardiamo bene dal raccontare per filo e per segno, poiché le undici perle dell’autore sono undici autentici gialli.
Seguono storie di droga e usura, incontriamo teppisti da quattro soldi (skinhead), ma anche famiglie aristocratiche e insospettabili guardiani di musei che diventano protagonisti di sorprendenti storie di follia.
Best seller in patria, il romanzo di questo penalista-star (nipote di Baldur, il leader nazista, coinvolto nel processo di Norimberga), sta avendo un meritato e strepitoso successo. Alcuni critici lo hanno paragonato a Friedrich Dűrremmatt, il drammaturgo svizzero, morto nel 1990, ma a noi sembra che il maggior complimento che si possa rivolgergli sia quello di paragonarlo soltanto a se stesso.
Grazia Giordani
Pubblicato domenica 16 maggio 2010 in Arena, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 17 Maggio 2010

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