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La janara
di Licia Giaquinto, Adelphi

Storia stregata impastata di dialetti e miti
IL LIBRO. Licia Giaquinto evoca mondi antichi

Storia stregata
impastata
di dialetti e miti

Grazia Giordani
«La janara» mescola le tradizioni alla trama da romanzo dell’orrore
Venerdì 21 Maggio 2010 CULTURA, pagina 49

Per pubblicare una storia stregata non si sarebbe potuto trovare copertina più adatta di quella che veste La janara (Adelphi, 193 pagine, 16,50 euro), il nuovo romanzo di Licia Giaquinto, poiché quella Mandragora officinarum che brilla in campo azzurro, così contorta e allusiva, già sembra racchiudere nell'essenza il clima magico della narrazione.
La janara, nella credenza popolare beneventana, soprattutto in quella contadina, è una delle tante specie di streghe che popolavano i racconti popolari. Il nome potrebbe derivare da Dianara, ossia sacerdotessa di Diana, oppure dal latino ianua, porta.
Il tema non dovrebbe farci meraviglia se la scrittrice, nota ai cultori del genere per il suo Cuori di nebbia, afferma di aver trascorso in Irpinia infanzia e adolescenza, in un mondo selvaggio, in un paese circondato da boschi, nutrendosi più di storie che di cibo, «storie narrate dalle donne che, sedute sugli usci delle case cucivano con l'ago e con la bocca e, intrecciando fatti veri successi “qui e ora” a fatti accaduti chissà quando e chissà dove, contribuivano alla tessitura di quel grande arazzo del mito e delle favole che milioni di donne hanno creato per secoli».
Quindi, va da sé che entrando nel mondo di Adelina, la janara del romanzo, predestinata a essere strega come sua madre e sua nonna, capaci di attraversare persino le porte che separano la vita dalla morte, dobbiamo dobbiamo abituarci a uscire dalla logica corrente, altrimenti non potremmo gustare questa favola nera nei suoi risvolti più inquietanti, sbalorditi dall'incontro di morti che parlano e di apparizioni sovrannaturali. Per sfuggire al suo destino di ragazza cercata dai compaesani per risolvere problemi quali cure, vendette e ancor peggio cruente interruzioni di indesiderate gravidanze, Adelina attraverserà per miglia e miglia «paesi, boschi e campagne», finché non raggiungerà la soglia di un misterioso palazzo ove verrà accolta come l'ultima delle sguattere, immediatamente invaghita del conte padrone che, in realtà, si trastulla con Lisetta, provocante adolescente, suscitando l'addolorata gelosia della nostra janara.
Nel palazzo vivono, fra gli altri, anche la perfida contessa e il contino, lascivo e profittatore delle ingenue fanciulle del luogo, antesignano di uno sbrigativo ius primae noctis.
Naturalmente, nulla anticiperemo delle sorti dei nobili di casa, e dei villici del luogo, dicendo solo che vi saranno omicidi e un suicidio, tanto per restare in clima con l'atmosfera fosca e cruenta di un romanzo che va letto per l'affresco che la Giaquinto ha saputo abilmente creare in un magmatico mix di vero e falso, di magico e realistico, tessendo una trama che se, da una parte ci sbalordisce, dall'altra crea una specie di incantamento, per cui, seppur sconcertati, non sappiamo staccarci da questo rosario di magici accadimenti.
Suggestivo l'impasto lessicale fatto di durezza e abbandoni lirici, di lingua italiana e dialettale per cui non si tarda a capire che l'autrice ha alle spalle anche pubblicazioni di poesie, tanto è potente ed evocativo il suo linguaggio capace di farci vedere «che la notte ha voci che di giorno la luce rende mute» e di farci odorare gli aromi e gli afrori, con rara suggestione olfattiva, di quel mondo arcaico che sa proporci, sapendo che così riesce ancora a temerlo in vita.
Pubblicato venerdì 21 maggio in Arena, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi



Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 21 Maggio 2010

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