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Honolulu
di W. Somerset Maugham, Adelphi

Maugham e il cinismo che fa riflettere sulle tortuosità dell'animo umano
Tra le lodevoli iniziative di Adelphi, intenta a riproporre autori che sarebbero caduti nell’oblio, soprattutto se persi dentro la pletora dei nomi nuovi che avanzano, è notevole l’interesse dedicato ad un autore ironico e stigmatizzante come Somerset Maugham (1874-1965).
Dopo buona parte dei suoi romanzi più noti, incontriamo ora la silloge di racconti Honolulu (pp.237, euro18, traduzione di Vanni Bianconi), uno splendido florilegio di luoghi esotici e di caratteri sottolineati dalla “crudeltà” letteraria a cui lo scrittore ci ha da sempre abituati.
Proprio nel 1934 Maugham – contravvenendo alle sue prudenti consuetudini – aveva pubblicato sulla Saturday Review of Literature una sua riflessione inerente la struttura e le caratteristiche di un racconto, chiarendo: «Mi sono messo a scrivere racconti quando, grazie al cielo, avevo già conquistato un’accettabile indipendenza economica, e potevo quindi considerarli una specie di vacanza da lavori troppo lunghi o troppo impegnativi. La maggior parte li ho scritti a gruppi – ricavandoli da appunti sparsi – e in ordine di difficoltà: prima i più facili. Ma che cos’è un racconto difficile? Be’, un racconto che cominci senza sapere bene come andrà a finire e che porti in fondo ricorrendo, se serve, all’immaginazione e all’esperienza…»
Certamente, i nove racconti che compongono Honolulu, i “superbi racconti orientali”, appartengono – per le loro caratteristiche -, al modello degli scritti brevi che l’autore stesso definisce scaturiti dall’ispirazione più “difficile”, tanto ci affascinano trasportandoci negli scabri avamposti di un Impero britannico ormai presago della fine.
Scritta, appunto, tra il 1920 e il 1934 – anno in cui il narratore si è deciso a precisare il suo pensiero sul valore del genere letterario di breve stesura – questa silloge sottolinea e traccia la fisionomia di un mondo nostalgico e artificiale (tra Malesia, Borneo e Haway) in perenne contrappunto con una giungla, appena accennata con rapidi tocchi, eppure incombente in maniera inquietante.
Di particolare pregio riteniamo La sacca dei libri dove l’autore – pur avendo sempre negato tracce autobiografiche nella sua scrittura - si abbandona anche a una confessione sul suo costume di lettore («C’è chi legge per istruirsi, ed è cosa encomiabile, e chi pe diletto, ed è cosa innocua; ma altri, e non sono pochi, leggono perché non possono farne a meno e direi che ciò non è né innocuo né encomiabile. Io faccio parte di questa deplorevole categoria»).
Siamo in Malesia, il protagonista ha con sé la sua inseparabile sacca di libri da cui nascerà il pretesto perché Featherstone che si accinge ad ospitarlo, commenti un’opera sulla vita dissoluta di Byron, toccando lo scabroso tema dell’incesto («Quale ritiene sia la verità a proposito di quella storia tra lui e la sorella? (…) Crede che fossero veramente innamorati?»)
E attorno alla relazione incestuosa, letterariamente evocata, fluisce il perfetto e parallelo intreccio della torbida vicenda narrata foriera di morte.
Honolulu che dà il titolo alla raccolta, ci ha colpiti per «la storia di superstizione primitiva» dove Winter, il protagonista, ci rende testimoni della malia di riti magici, incredibili per la nostra cultura occidentale. Eppure, il racconto è affascinante e con un finale a sorpresa, qualità narrativa di cui Maugham sa darci prova anche in Mackintosh che apre la raccolta.
Racconti sempreverdi questi dello scrittore britannico, animati da un cinismo che – se non consola – sa farci riflettere sulle tortuosità dell’animo umano.
Grazia Giordani

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 05 Novembre 2010

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