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Parla, ricordo
di Vladimir Nabokov, Adelphi

RUssia incantata per Nabokov prima di "Lolita"
Parla, ricordo di Vladimir Nabokov (Adelphi, pp.364, euro23, traduzione di Guido Ragni), è il memoriale di un’infanzia eccezionalmente aristocratica che l’autore esprime con la grazia mimetica di chi sa poeticamente riprodurre i chiaroscuri della natura. Curato, nell’attuale versione, in maniera superlativa da Anna Raffetto, uscito in prima stesura negli States nel 1951 e poi tradotto da Bruno Oddero per Mondadori nel 1962, questa affascinante biografia dove l’ebbrezza dei dettagli brilla allucinatoria e sfaccettata, ha subito vari rimaneggiamenti, prima di giungere a noi per gli attuali tipi di Adelphi. Infatti, fu tradotta in russo dall’inglese con l’aiuto della moglie Véra durante l’estate del 1953 – trascorsa tra la caccia alle farfalle (Nabokov era un entomologo quasi maniacale) e la scrittura di Lolita, tra l’Arizona e il Midwest degli Stati Uniti. La necessaria opportunità di metterla nero su bianco nella madrelingua (che l’autore aveva tardivamente appresa da precettori domestici, visto che in casa sua snobisticamente si parlava in inglese o francese) permise all’autore di colmare lacune e rivedere buchi della memoria. Quindi, questi preziosi 37 anni di ricordi, trovarono una definitiva «ri-anglicizzazione di una ri-versione russa di ciò che fu ri-narrazione inglese di ricordi russi». Una «metamorfosi multipla» per restare nel linguaggio del cultore delle farfalle il cui fruscio delle ali sa dispiegare per noi sulla carta.
Corredato di un evocativo dossier fotografico che ci fa vedere per immagini la ricca e raffinata vita dell’autore, prima che la rivoluzione del 1917 lo inducesse ad abbandonare gli agi della sua età adolescenziale, questo prodigioso memoriale possiamo leggerlo come un appassionato consommè di una moltitudine d’istanti dentro cui riluce la bella figura della madre, Elena Ivanovna Ruskavishnikova, che usava dirgli «Amare con tutta l’anima e lasciare il resto al fato». E a questo programma di vita il figlio si attenne fin dai suoi primi momenti.
«Ricordatene! – lo sollecitava questa madre fantasiosa , dall’animo artistico quanto quello del figlio – mentre nella tenuta estiva di Vyra a ottanta chilometri da San Pietroburgo gli indicava quanto si doveva tener vivo nel proprio cuore –: un’allodola che si alzava nel cielo color latte rappreso di un giorno velato di primavera, i lampi di calura che scattavano fotografie a un lontano filare di alberi nella notte, la tavolozza di foglie d’acero sullo sfondo giallo scuro della sabbia, le impronte cuneiformi di un uccellino sulla neve fresca».
Sembrava quasi che questa madre speciale presagisse la fine dei giorni felici in una «Russia leggendaria», troppo perfetta per non essere condannata a una dissoluzione istantanea e totale.
Dall’agosto del 1903 (quando aveva quattro anni) al 1917, anno in cui avviene lo sfacelo totale, lo scrittore sembra vedere con l’occhio appassionato della madre le cose «care e sacre» che andavano imprimendosi nel suo cuore. E mai smise di dimenticarle durante il periodo emigré inglese, francese e tedesco, fino al 1940, all’approdo americano.
Proustiano, con maggior vigore virile, Nabokov ci dà prova di come si possa provar nostalgia senza essere nostalgici e di come si possa intonare un peana del passato senza scadere nel sentimentalismo. Così, il mondo leggendario della sua infanzia non è mai trascorso e mai passerà, perché, come nelle favole, «Tutto è come deve essere, niente cambierà mai. Nessuno mai morirà».
Persino il tempo è un’illusione ottica in cui non crede, allungandolo o restringendolo con la bacchetta magica delle sue impareggiabili sinestesie e delle sue metonimie che sanno regalare incanto al tessuto di tutta la scrittura.
Delicato nel rievocare i suoi primi stimoli sessuali, ci fa conoscere una frettolosa galleria di ragazzine, prima di giungere a Tamara che diverrà poi la moglie Véra. A lei, infatti, si rivolge nell’epilogo, porgendole il dono dei suoi ricordi rimasti incontaminati attraverso i rovesciamenti politici, la caduta finanziaria, la morte violenta del padre, la miseria estrema praghese della madre che aveva saputo insegnargli la poetica purezza della memoria, nonostante le crudeli imboscate del destino.
Grazia Giordani
pubblicato sabato 22 gennaio 2011 in Arena, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi

Pubblicato sabato 22 gennaio 2011 in Arena, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 22 Gennaio 2011

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