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Giustizia
di Friedrich Dürrenmatt, Adelphi

Denaro cinismo e la giustizia verrà ridicolizzata
Leggendo Giustizia, l’opera più nota di Friedrich Dürrenmatt (Kolonfingen, 1921-Neuchâtel 1990) pubblicato da Adelphi (pp.211, euro 18), nella bella traduzione di Giovanna Agabio, siamo spinti ad un’inevitabile catena, quasi una girandola di considerazioni su come la giustizia non sia necessariamente giusta, spesso ridotta ad un mero meccanismo, gestito dagli uomini, quindi soggetta alle tante imperfezioni degli esseri umani, talvolta vittime degli umori del momento, per cui è persino possibile giungere al limite di alterare la verità attraverso il concetto di giustizia. Un romanzo molto duro, venato di sarcasmo, questo dell’autore svizzero che manifesta, senza mezze parole, il suo disprezzo per i plutocrati della sua terra, spesso graziati dai privilegi procurati dal troppo denaro.
Un noir con l’assassino nell’incipit potrebbe apparire di scarso interesse, invece la tortuosa mente di Dürrenmatt sembra divertirsi a servirci un mistero rovesciato in cui l’assassino non si professa mai innocente, ma accetta il processo considerandolo doveroso. Quindi, Isaak Kohler affronta addirittura gioiosamente il carcere, divenendo detenuto modello, condannato a vent’anni di reclusione, ma da lì tesse la sua perfida tela, ordendo il suo piano da giocatore di biliardo ‹‹à la bande›› - come dice l’autore -, ovvero un piano di alta slealtà, che colpisce alle spalle. Uomo ricco e potente (consigliere cantonale), si rivolge ad un avvocato, dopo la condanna, ma non cerca un principe del foro, un suo pari, come sembrerebbe naturale, piuttosto assolda Spät, un avvocato di poco conto, molto povero e dedito all’alcol, quindi facilmente manovrabile secondo le sue losche mire. La richiesta parrebbe balorda ed impossibile, ovvero riprendere in esame il caso, partendo dall’ipotesi che il committente non sia il vero omicida. L’inesperto avvocato accetta, premuto dal bisogno di denaro, credendo addirittura di potersi concedere il lusso di prendersi gioco delle paradossali proposte di Kohler. L’assassino riesce a muovere sfrontatamente dal carcere alcuni uomini pedine del suo torbido piano: primo fra tutti lo stesso Spät, che è il vero protagonista della trama, il narratore che accetta una sfida contro la realtà, ottenendo il mortificante risultato – grazie ai suoi errori e alla sua ingenuità (per non parlare delle troppe bevute e delle male frequentazioni da bordello) – di vedere il committente assolto con formula piena.
E qui inizia il metaromanzo (Pirandello docet col suo Sei personaggi in cerca d’autore), ovvero il romanzo nel romanzo, per cui l’avvocato beffato decide di scrivere la sua storia, l’avventura del suo fallimento, preannunciandoci l’epilogo che non abbiamo nessuna intenzione di rivelare. Il protagonista, caduto nel tranello dell’astuto consigliere cantonale, lotta con tutto se stesso nell’intento di ristabilire una vera giustizia. Ci riuscirà? Solo le ultime pagine del romanzo sveleranno l’arcano, lasciandoci abbastanza sbalorditi e soprattutto inclini a meditare sulle considerazioni dell’autore: ‹‹Chi è colpevole? Chi dà l’incarico o chi lo accetta? Chi vieta o chi non osserva il divieto? Chi emana le leggi o chi le infrange? Chi concede la libertà o chi la ottiene?››. Dunque, nella fattispecie, tra l’avvocato premuto dal bisogno e il ricco committente chi è il maggior colpevole? Sono piuttosto le leggi ad essere imperfette o è l’assassino un abile manovratore della giustizia?
Un romanzo inquietante, addirittura metafisico, una vera festa della suspense e del grottesco, soprattutto un romanzo dell’impossibilità della giustizia.
Grazia Giordani
Pubblicato lunedì 26 novembre 2011 in Arena, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 18 Dicembre 2011

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