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Romancing Miss Brontë,
di Juliet Gael, Adelphi

Pianti e mito il destino di chiamarsi Brontë,
Una vera chicca, per gli appassionati dell’estrosa famiglia Brontë, la quasi biografia o meglio la storia romanzata delle tre famose sorelle che l’autrice, Juliet Gael, ha dato alle stampe col titolo Romancing Miss Brontë (Tea, pp. 425, euro 14, traduzione di Claudio Carcano). Già nell’ambiguità di quel “romancing”, in italiano intraducibile, avvertiamo – da parte dell’autrice, cresciuta nel Kansas, fra l’altro grande esperta di letteratura inglese e, attualmente fiorentina d’adozione -, l’intenzione di valicare i confini rigidamente biografici, colmando qualche lacuna, per la gioia di lettrici e lettori iperomantici.
Così incontriamo l’amore, all’interno della famiglia Brontë, quello puramente letterario, aspro e sublime di Emily, la più dotata artisticamente, delle tre sorelle, un amore crudele e disperato, flagellato dal vento della brughiera, un sentimento che travalica la morte, e soprattutto c’è il ricordo sempre vivo della passione di Charlotte, la sorella maggiore, per l’insegnante belga e poi l’infatuazione per l’editore che le ha dato la fama e infine c’è l’amore iniziato come una forma di ripiego per Arthur che Charlotte finisce per sposare. E non dimentichiamo la passione smodata dell’unico fratello maschio, Branwell, per una donna maritata che prima lo lusinga e poi gli spezza letteralmente il cuore.
Il caso delle tre sorelle scrittrici, Charlotte, Emily e Anne è inquadrato molto abilmente dalla Gael, dentro l’atmosfera cupa e misteriosa della casa di Patrick, il padre, severo pastore anglicano, uomo rigido e antifemminista, secondo i canoni dell’epoca, un vedovo che ha dovuto allevare i figli con l’aiuto di una sorella, visto che la tisi ha falcidiato prima la moglie e poi tutta la sua prole. Leggendo la quasi-biografia si è sempre più stimolati a meditare sulla genialità di questa solitaria famiglia e sulla creatività di tutti i componenti che hanno superato ogni tipo di ostacolo, consapevoli del proprio genio. Le origini della famiglia Brontë sono modeste: il nonno era un agricoltore irlandese e fu poi il capofamiglia Patrick, reverendo della chiesa anglicana, a trasformare arbitrariamente il cognome, giustificandolo con la sua ammirazione per l’ammiraglio Nelson a cui era stato concesso il titolo di Duca di Bronte da parte di Ferdinando, re delle due Sicilie. Aggiunse pure una dieresi sulla vocale finale, per evitare storpiature nella pronuncia. Della numerosa prole Brontë (due sorelle erano morte di tisi poco più che bambine) il prediletto del padre era l’unico maschio, Branwell, pure adorato dalle sorelle. Lo strano ragazzo, coltissimo, dotato come pittore e poeta – erede di buona parte della genialità familiare – avrebbe potuto diventare un grande artista se non si fosse lasciato invischiare in una storia d’amore senza speranza, divenendo quindi schiavo dell’alcol e dell’oppio.
In casa Brontë le donne si occupano delle faccende domestiche e – secondo i vigenti modelli della società ottocentesca – solo Branwell riceve attenzione in quanto unico figlio maschio. Alle donne è solo concesso di occuparsi della casa e del genitore invecchiato. I passatempi sono: il ricamo, strimpellare il pianoforte. Gli uomini possono ambire a tutto e, se sprecano tempo e denaro, se bevono troppo e s’impelagano in amori impossibili, trovano sempre giustificazione.
Tanto che quando Charlotte, Emily ed Anne invieranno un loro primo manoscritto a dei possibili editori, sceglieranno pseudonimi maschili piuttosto curiosi: Currer, Ellis e Acton Bell, fingendosi tre fratelli. Non vogliono che si sappia che le figlie del reverendo Brontë si son date alla scrittura. Quando, in seguito, Charlotte scrive Jane Eyre. Immediatamente pubblicato, la curiosità di critici e lettori s’infiamma, sollevando dubbi e avvelenate perplessità. Emily – sebbene delle tre fosse la più dotata letterariamente – col suo Wuthering Heights – non otterrà in vita successo e morirà giovane, minata dalla tisi, senza sapere di essere in seguito riconosciuta come una delle più grandi scrittrici di tutti i tempi.
Il libro della Gael è molto godibile perché ricrea il clima di un’epoca, con visuale discreta, ponendo l’accento soprattutto su Charlotte, perché è la sorella vissuta più a lungo, su cui – biograficamente - ci sono dunque più cose da dire. Descrive la vita quotidiana nella canonica, tanto che anche a noi sembra di esserci, e il paesaggio della brughiera in perfetta sintonia con il tema, creandoci l’illusione di essere entrate dentro la scrittura delle tre geniali sorelle. Infatti, leggendo le storie di Charlotte, Emily e Anne, in parallelo sentiamo le loro voci, le reciproche segrete confidenze sulla loro trame. Siamo con loro, felici delle loro soddisfazioni, addolorate per le sconfitte che non riescono a demotivarle, consapevoli della propria genialità. In sintesi: questo romanzo è un quadro avvincente delle appassionanti vite di Charlotte, Emily e Anne Brontë e del loro dissoluto fratello, fatto di pagine che si divorano senza respiro, pieno di sentimento del tutto conforme al grandioso soggetto trattato. Un libro che c’indurrebbe a fare volentieri una corsa nello Yorkshire.
Grazia Giordani
Pubblicato sabato 24 marzo 2012 in Arena, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 30 Marzo 2012

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