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Savana padana
di Matteo Righetto, Tea

Nordest salsa pulp "Savana padana" Ridere da morire
Nordest salsa pulp «Savana Padana» Ridere da morire
IL LIBRO. Primo romanzo di Matteo Righetto
Malavita e ignoranza si sposano L’umorismo del raccapricciante
14/09/2012
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Matteo Righetto
Si legge d’un fiato Savana padana (Tea, 132 pagine, 10 euro), orripilati se non si fosse divertiti, poiché a prevalere sulla materia raccapricciante è l’esilarante sense of humour dello scrittore: Matteo Righetto, che vive e lavora a Padova, dove è nato nel 1972, e che ha già visto un suo racconto selezionato per l’antologia Venice noir, curata da Maxim Jakubowski per Akashic Books (New York). Dopo questo primo romanzo possiamo presto aspettarcene altri, vista l’abilità del giovane autore nel giocare con i caratteri, le debolezze, i tic, i dialetti, i colori e le corrotte geometrie umane e sociali di una terra, la sua, che sa dipingere con toni truculenti, ma divertendo, nonostante il profluvio di sangue e la crudezza dell’argomento. «Ritengo che il Veneto e il Nordest in generale», afferma lo scrittore, «offra delle ottime suggestioni per una narrazione pulp/noir ispirata a certa letteratura americana: penso ad autori come Lansdale, McCarthy, Gischler, Lee Burke, Crews, Leonard, tutti calati in un contesto, quello degli Stati del profondo sud degli USA, che secondo me ha molti aspetti in comune con il nostro Nordest, come ad esempio il carattere epico della gente, il pregiudizio razziale, la grettezza dei tipi umani, l’ignoranza, la schiettezza e la cultura contadina. E poi abbiamo anche noi la grande pianura, il nostro delta, la nostra laguna. Questo parallelismo condiviso con me dal critico Strukul, ci ha portati a fondare insieme un vero e proprio movimento (Sugarpulp, il cui nome ricorda la polpa delle barbabietole da zucchero per cui il nostro territorio è particolarmente vocato)». San Vito, un piccolo paese agreste, stretto tra il Piovego e il Brenta, è teatro dell’insanguinata narrazione. Si respira un’aria malsana, che penetra i pensieri di una triplice banda di malviventi. Tosi (i nostrani), cinesi e zingari: non si saprebbe a chi dare il primato della maggior efferatezza, senza dimenticare che c’è anche un poliziotto non propriamente integerrimo. Sergio Leone aveva fatto qualcosa di simile con i suoi spaghetti western, anche se, in quel caso, il lessico era meno aggressivo e la crudeltà tenuta più a freno, perché i tempi cambiano e anche il linguaggio si adegua al progredire degli anni. Divertenti anche i soprannomi dei personaggi scalcinati (Berto, particolarmente bestemmiatore, chiamato Sacramento, solo per ricordarne uno fra i tanti). Sgrammaticati al punto, questi veneti d’origine agreste, da offrirci sms sui loro telefonini, involontariamente più spiritosi di una barzelletta. Nel genere pulp il sangue fa poca impressione, i morti sembrano pupazzi. Anche in questa capacità di «sdrammatizzare» sta l’abilità dell’autore che ci fa l’occhiolino dalla prima pagina all’ultima, preparando un epilogo veramente imprevedibile, com’è giusto che sia, perfettamente in carattere con lo spirito del suo narrare.
Grazia Giordani
Pubblicato il 14/09/2012 nei consueti quotidiani

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 14 Settembre 2012

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