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Qualcosa più dell'amore
di Orlando Figes, Neri Pozza

Un vero Zivago
UN VERO ZŽIVAGO
IL LIBRO. Orlando Figes narra la storia di un amore ai tempi di Stalin
Lui, Lev, dall’Armata Rossa a Buchenwald e in Siberia Lei, Sveta, la più bella dell’università, non si arrende finché non lo ritrova. Le loro lettere: un romanzo vero
Svetlana Ivanov (Sveta) e Lev Miscenko quando si conobbero, nel 1935, alla facoltà di fisica dell’università di Mosca
Che la realtà possa essere di gran lunga più straordiaria della fantasia, ce lo dimostra ancora una volta lo storidco Orlando Figes nel suo nuovo, splendido romanzo Qualcosa più dell’amore (Titolo originale Just send me Word, Neri Pozza, 382,pagine, 17 euro, traduzione di Serena Prina). In effetti, i numeri per una storia d’amore fuori dal comune parlano da soli: 1.246 lettere, 647 quelle di Lev Glebovic Miscenko a Svetlana Ivanova; 599 quelle di lei a lui. L’epistolario corre dal 12 luglio 1946 al 23 novembre 1954. Teatro dell’azione è il rimando tra il campo di lavoro di Pecora in Siberia e Mosca. Un’epopea che mescola l’amore e la drammatica storia dell’Unione Sovietica e che non ha nulla da invidiare a quella celeberrima del dottor Zivago e della sua Lara, i personaggi creati da Boris Pasternak per il suo capolavoro. L’autore ha potuto valersi di un’eccezionale documentazione di prima mano, uscita dagli archivi del KGB, inserendo le carte d’archivio, come tessere di luminoso dolore, nella complessa trama in cui nulla vi è d’inventato. Dentro la scrittura dei due innamorati, ora esplicita, spesso resa cauta dal pericolo della censura, insieme alla forza del loro sentimento, vulnerato dalla lontananza, lottando quotidianamente contro la disperazione per non lasciarsi vincere dal sistema, vibra la Storia con la sua incredibile crudeltà, col Terrore stalinista che incalza. Lev e Sveta (diminutivo di Svetlana), possono vedersi in maniera fortunosa, tra mille pericoli e sacrifici, solo una volta l’anno. Se sia più facile vivere con la speranza o senza di essa, sembra essere quasi un ritornello, un pensiero fisso da parte della ragazza che dei due è la più esposta allo scoramento, pur nella consapevolezza di vivere una situazione di privilegio: è a Mosca, pur nel clima angosciante del terrore staliniano, a casa sua, con i suoi familiari; può fare un importante lavoro (anche se mal retribuito) di ricerca scientifica all’università. Ma gli anni passano inesorabili e quando Lev verrà liberato, Svetlana sarà vicina ai quarant’anni. Lev, intanto, patisce la fame, il freddo siberiano (temperature che arrivano sino a – 47 gradi) e ogni sorta di maltrattamenti, anche se durante il suo calvario incontra qualche persona speciale e indimenticabili amici. Ma non si lamenta e sembra pensare più agli altri che a se stesso. Chiede a Sveta di non fare sacrifici, di non inviargli cibo per sé, piuttosto acido ascorbico e vitamine per curare compagni di sventura ammalati, e mette il suo massimo impegno di schiavo perché è la sua dignità di uomo retto che glielo impone. Ama la sua donna senza egoismo, mai autocommiserandosi. Ai nostri occhi, leggendo la sua storia, appare come un eroe del mondo antico, anche se lui non ci approverebbe, sentendocelo dire. Si erano conosciuti nel 1935, i nostri protagonisti, entrambi studenti universitari. Non fu amore a prima vista, ma grande simpatia, condivisione di gusti letterari con la lettura delle poesie dell’Achmatova e di Blok. Sveta fu una delle poche donne a essere ammessa alla facoltà di fisica presso la prestigiosa università dell’Unione Sovietica negli anni Trenta. E Lev sarà nominato assistente dell’istituto di fisica Lebedev nel 1940. Lo scoppio della seconda guerra mondiale e il precipitare convulso degli eventi li allontanerà. Lev, arruolatosi volontario, sarà catturato dai tedeschi e internato a Buchenwald. Liberato nel 1945 dall’avanzata alleata, dedide di rientrare nell’Urss, ma cadrà vittima del clima di sospetto e delazione instaurato da Stalin; sarà presto arrestato e condannato morte per alto tradimento, pena commutata in dieci anni di prigione nel Gulag di Pecora. Per essere considerato una spia, e questa non era un’eccezione, gli basta il fatto di essere stato imprigionato dai tedeschi e di conoscere la loro lingua. Perché non è caduto sul campo? Avrà fatto il traduttore per il nemico? Dubbi del genere bastavano per condannare un patriota e un comunista alla Siberia. La lontananza non scalfirà il sentimento che era nato tra i due giovani, rafforzandolo, invece, col fitto scambio di lettere e con le pericolose incursioni da parte di Sveta al Gulag, il campo di lavoro forzato. Un carteggio estremamente toccante quello che ci è dato leggere dalla penna di Figes. Il protagonista maschile si esprime con animo lirico, sensibile persino alla bellezza del paesaggio glaciale in cui è costretto a vivere. Commoventi i vezzeggiativi con cui si rivolge alla sua innamorata, accorciando il suo nome in Svet, che in russo significa luce. Da parte sua, Sveta, pur con qualche cedimento e abbandono depressivo (che non si potrà pubblicamente permettere, perché la Russia staliniana è per decreto ottimista) non è da meno del suo uomo, audace nell’escogitare inauditi mezzi per entrare clandestina nel campo di Pecora. Con la morte di Stalin, le condizioni dei prigionieri politici e dei forzati si allevieranno un po’; i due innamorati potranno finalmente sposarsi e avranno due figli. Con la penna di un romanziere e lo scrupolo di uno storico, Orlando Figes ci ha fatto leggere pagine che non sono solo una reale testimonianza di un sentimento capace di sconfiggere la crudeltà della Storia, ma anche l’eroismo in guerra e in pace di un popolo straordinario, con personalità geniali in tutti i campi del sapere e delle arti, e la testimonianza dei drammi sociali e delle tensioni socio-politiche che dilaniavano la Russia negli anni di governo stalinista. Lev è morto il 18 luglio 2008. Svetlana, sua moglie, il 2 gennaio 2010.
Grazia Giordani
Pubblicato nei consueti tre quotidiani lunedì 4 febbraio 2013

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 19 Febbraio 2013

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