Recensioni e servizi culturali


Viviane Elisabeth Fauville
di Julia Deck, Adelphi

Il bisturi affondato per separare apparenze e realtà


Esordiente, la giovane francese Julia Deck, ma già dotata di una penna acuminata come un bisturi che sa affondare nei nodi più contorti della psiche umana; ce ne offre stupefacente prova nel suo Viviane Élizabeth Fauville (129 pagine, 15 euro) che Adelphi propone tradotto da Lorenza Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco.
Un incipit fulmineo, senza preamboli, espresso in prosa prosciugata: siamo in una stanza vuota che dà il senso dell'assenza e dell'alienazione. Qui una donna culla su una sedia a dondolo, con fare ossessivo, la sua bimba di pochi mesi e si sforza di ricordare qualcosa di terribile che pensa di avere commesso.
Viviane, quarantenne, depressa, ha pochi ricordi del suo ultimo periodo di vita. Sa di avere da poco lasciato l'affascinante marito che la tradiva spudoratamente. Sa anche che prima godeva di un'esistenza agiata in cui feste, aperitivi e shopping sembravano sostituire consapevolezze e profondità di sentimenti. Pensa di avere ucciso il suo psichiatra Jacques Sergent, colpevole di non averla saputa realmente far uscire dal labirinto di paranoie in cui è precipitata, aggravato dal fallimento coniugale.
DI QUELLO che è stata — direttrice di successo della comunicazione, con lussuoso ufficio nei pressi degli Champs Élisées, moglie invidiata e figlia devota — ora a Viviane non resta che il suo nome. E quella bambina che culla? Della figlia si prende cura come per automatismo istintivo: tra le cose che non è, non sente di essere nemmeno una madre.
La realtà in cui vive Viviane ci introduce dentro una sinistra camera a specchi deformanti dove nulla è come dovrebbe essere, sullo sfondo di una Parigi oscura e topograficamente minuziosa.
Si resta frastornati per le possibili e mutevoli varianti della realtà. Il comportamento della protagonista oscilla su un filo sottile tra follia e lucidità, depistandoci continuamente, per cui la verità si fa viscosa, scivolando tra le nostre dita, impossibilitate ad afferrarla.
Anche i pronomi, in corso di lettura, sono sfuggenti: il tu può diventare un noi, passando a essere egli.
Si è presi, leggendo, da una contagiosa ansia di separare il vero dal falso, ansiosi di arrivare alla fine, all'esplosivo epilogo, per sapere. Ma si saprà veramente?
Hitchcock avrebbe fatto capriole di gioia se gli fosse capitato un simile testo fra le mani, perché questo breve, sconvolgente romanzo sembra essere la summa delle tortuosità della mente e delle sue imprevedibili contorsioni. Per ritrovare se stessa, la protagonista dovrà rinunciare all'identità che le restava come unica sicurezza.
L'ARENA 04/04/2014


Grazia Giordani

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 04 Aprile 2014

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