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Uccidi il padre
di Sandrone Dazieri, Mondadori

Uccidi il padre,ma lascia stare gli altri scrittori
«Uccidi il padre» Ma lascia stare gli altri scrittori
L'autore critica alcuni colleghi Ma il suo thriller non è memorabile

Sandrone Dazieri
Sandrone Dazieri
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Quando un romanzo è preceduto da iperboliche promesse - prima ancora di entrare in libreria, esagerando un po' vorremmo quasi dire: prima ancora di essere scritto - , l'aspettativa che si ingenera può essere onorata dal risultato atteso, o in parte delusa se la lettura dell'opera non sembra mantenere le promesse. A nostro personale avviso, questa è proprio la sorte di Uccidi il padre (Mondadori, 562 pagine, 18 euro) il nuovo thriller di Sandrone Dazieri che - in un video promozionale al fianco del suo editor - annuncia pimpante come il noir debba ormai considerarsi desueto in quanto «ripete se stesso», diventando un' espressione letteraria «di maniera». Con buona pace di Georges Simenon & company, pensiamo noi, confortati anche dall'«originale» pensiero dell'autore che nel titolo e nella sostanza di questo suo nuovo libro avverte, vedi un po', significati freudiani. Impressionati dal video, dalle affermazioni stigmatizzanti contro i colleghi di scrittura, presenzialisti in trasmissioni televisive, dove sembrano sostituirsi alla magistratura, o ispirati da fatti di cronaca, materia riservata ai giornalisti. e soprattutto dall'importante carnet che l'autore ha alle spalle - infatti, lasciati da parte pentole e fornelli, questo cinquantenne cremonese, da cuoco a scrittore, ha fatto un balzo in avanti d'incredibile potenza - ci dedichiamo, finalmente, alla lettura del suo nuovo libro.
Entriamo dentro le labirintiche pagine, incontrando la scomparsa di un bambino nella campagna romana. Sua madre è stata trovata morta sgozzata. Gli inquirenti credono che il responsabile sia il marito che, in preda a un raptus, avrebbe ucciso anche il figlio, nascondendone il corpo. Ma non è facile darla a bere a Colomba Caselli, l'androgina detective non più in servizio, ma pur sempre tanto valutata («Colomba non passava inosservata con il corpo muscoloso dalle spalle larghe e il viso dagli zigomi alti e forti. Il viso di una guerriera aveva detto una volta un suo amante, che correva a pelo sui cavalli e tagliava la testa dei nemici con la scimitarra»). La «guerriera» subito s'insospettisce, Il suo vecchio capo la mette in contatto con un consulente, superesperto di casi difficili: Dante Torre, soprannominato «l'uomo del silos», in odore di genio, tanto abile, quanto schiacciato da paranoie e fobie, strascico di sevizie subite in età infantile, rapito e segregato, cresciuto negli spazi di un silos dove veniva educato dal misterioso essere che si faceva chiamare «il Padre».
Colomba, perseguitata da continui attacchi di panico, ha alle spalle un fallimento indimenticabile che le risuona nella memoria come «il Disastro». Insomma, la «guerriera» e il «genio» dovranno lottare contro oscure trame esterne (complotti militari, farmaci sperimentali) e, nel contempo, contro il loro intimo male oscuro.
La narrazione s'ingarbuglia sempre più, giocando tra il reale e l'onirico. Terreno difficilissimo e insidioso, questo: Tolkien docet), fino all'epilogo.
Grazia Giordani

In Arena e nei quotidiani cui collaboro mercoledì 16 luglio 2014

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 22 Luglio 2014

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