Recensioni e servizi culturali


Pietroburgo
di Andrej Belyj, Adelphi

Attentare al padre. La rivoluzione parte sempre da lì

Attentare al padre La rivoluzione parte sempre da lì

Il capolavoro del simbolismo russo Parricidio letterario prepara il caos

Il prezioso saggio introduttivo di Angelo Maria Ripellino, guida nelle tortuose e contraddittorie pagine del romanzo Pietroburgo (384 pagine, 22 euro) di Andrej Belyj che Adelphi, instancabile nel suo ripescaggio di capolavori, propone vestito dalla suggestiva copertina con il Cerchio bianco di Aleksandr Rodcenko. Il romanzo, considerato il capolavoro dell'estroso autore russo — addirittura definito da Vladimir Nabokov una delle quattro più grandi opere letterarie del ventesimo secolo — è ambientato in un'isterica atmosfera a cavallo tra i due secoli, a Pietroburgo, Delirante e grottesco nella trama, in un complicato contesto sociale legato alla Rivoluzione del 1905, racconta l'attentato dinamitardo eseguito da Nikolaj, un giovane terrorista, ai danni del padre, un funzionario immerso nella burocrazia statale, Apollon Apollonovic Ableukov. Il vero bersaglio che lo scrittore vorrebbe colpire è la burocrazia russa pre-rivoluzionaria.
«Prodigio architettonico issato su vacillanti paludi», scrive il curatore dell'edizione Adelphi, «Pietroburgo si profila dalle pagine degli scrittori russi come assurda città di incantesimi. Dietro fastose apparenze, palazzi austeri, merletti di cancellate, la “Palmira del Nord", scaturita come un miraggio dal fango degli acquitrini per il caparbio volere di un despota, nasconde misere spoglie sofferenti, un querulo mondo di pena. Il motivo precipuo di Pietroburgo è la rivolta del figlio contro il padre, dello studente contro l'uomo di Stato».
Le pagine sono pervase da motivi autobiografici, poiché il padre di Belyj, professore di matematica all'università moscovita, famoso per distrazione e bruttezza, era un bislacco, perduto dentro il suo mondo numerico. E la madre passava per una delle più belle e frivole donne di Mosca.
Questo conflitto familiare si riverbera in pieno nelle pagine di Pietroburgo, poiché Apollon Apollonovic Ableuchov — brutto, sbadato, immerso in tortuose elucubrazioni, amante dei calembour — è il ritratto del matematico Bugaev che l'autore ridicolizza con mano pesante, non sottraendosi a espressioni volgari. Il parricidio sembra essere tema comune di molti romanzi di Belyj che ritorna spesso ai ricordi d'infanzia, al dramma della propria famiglia, sciorinando anche un senso del comico piuttosto greve.
CARATTERISTICA che fa meraviglia è quella innanzi tutto della consistenza dei personaggi che sembrano perdere peso, muovendosi guizzanti e leggeri come ectoplasmi, creature di fumo. Il domino di raso rosso che di continuo compare e scompare nel buio degli androni e sui ponti segna il tempo di una velocità nuova e spaventevole.
La mascherina indossata forse non nasconde nulla, neppure l'impotente nostalgia di un centro, di un punto fermo verso il quale fissare lo sguardo. È come se gli specchi riflettessero figure ormai disossate, impalpabili, gassose, solo uno scabro contorno del niente. E fu proprio questo ad ammaliare Nabokov.
In sintesi: quello che Pietroburgo adombra è un gioco cerebrale, simbolista che, pur dialogando col presente, non ha dimenticato la grande letteratura ottocentesca da Puskin a Gogol, Dostoevskij e Tolstoj, facendoci percepire l'ululato del vento che freme lungo le gole del libro, immagine fluttuante dei sommovimenti di inizio secolo, preludio di future tragedie.


Grazia Giordani
L'ARENA 05/01/2015

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 05 Gennaio 2015

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