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Il tempo passato fuori
di Carolyn Slaughter, Corbaccio

UN'INFANZIA VIOLATA NELLO SPLENDIDO PAESAGGIO AFRICANO
"Il tempo passato fuori": un romanzo-verità di raro fascino, scritto da Carolyn Slaughter, che il Corbaccio ha portato in Italia, tradotto da Lucia Corradini Caspani.
L'autrice riesce a dribblare la facile trappola dei pietismi, raccontandoci l'agghiacciante realtà degli stupri subiti dal padre, lasciandoli avvolti in una voluta indeterminatezza, creando nell'animo del lettore note di pathos struggente, quasi volesse distrarlo dalla crudeltà degli abusi sofferti, con la luminosa bellezza del deserto del Kalahari, dove ha vissuto per molti anni con i genitori e le sorelle.
La scottante verità - rivelata già nella prima pagina del libro e ripresa solo alla fine -, ha il sapore, se non proprio di un atto liberatorio, di qualcosa da esprimere in fretta, quasi trattenendo il fiato: "Accadde a me, ma colpì tutti noi: mia madre, mio padre, le mie sorelle e me. Ci sgretolammo tutti sotto quell'orrore e tutti tentammo di fingere che non ci fosse alcun orrore…Il momento in cui tutto cambiò giunse la notte in cui mio padre mi stuprò la prima volta. Avevo sei anni".
Non ci fa dunque meraviglia l'atteggiamento ribelle della piccola Carolyn in continuo scontro con la personalità deviata e lo spirito da negriero del padre, per nulla difesa da una madre debole ed egoista che sembra uscita dallo spartito di "Balocchi e profumi", così presa dalla cura maniacale del suo aspetto esteriore, tutta risate innaturali e per nulla solidale con la sorte di figli e servitù della casa.
Alla piccola Carolyn, per ovviare alle insidie paterne e all'apatia della madre, non resta che attaccarsi furiosamente alle bellezze paesistiche africane: "Amavo quel paesaggio con una passione simile all'estasi religiosa. Là fuori nella savana potevo perdermi, svanire nella sabbia".
Il fascino del fiume, delle luci magiche di una natura esaltante, diventano i compagni salvifici e consolatori di una bambina che vuole dimenticare l'atmosfera ipocritamente borghese di casa sua, sforzandosi di ignorare le prepotenze irose del padre - funzionario dell'impero - capace di percuotere a sangue i servi, e le leziosaggini della madre tutta esteriorità ed apparenze, che si destreggia tra pranzi di gala e crisi depressive, incapace di farsi valere. Una madre che sapeva, "ma non poteva dire nulla. Se lo avesse fatto sarebbe stata costretta ad andarsene - precisa l'autrice, dando prova di estrema indulgenza - Per lei adesso provo pena e affetto".
Finché - dodicenne - la ragazzina non va in collegio, gli stupri continuano nel colpevole silenzio di una famiglia maestra di finzione, a cominciare dalla sorella maggiore che dorme nella sua stanza e che finge di dormire; dalla madre che quando la vide insanguinata le urlò "di non raccontare mai più bugie".
Da allora l'orrendo incesto viene rimosso, sepolto dentro l'apparente serenità di una abbiente famiglia anglosassone che sfoggia sorrisi stereotipati in foto lucide al bromuro, atte ad eternare una realtà teatrale, falsamente ostentata, nello sfondo di un'Africa coloniale, piena di abusi e soprusi.
Non ci stupiamo leggendo che l'adolescente così vulnerata dalla depravazione paterna e dall'assenteismo della madre, divenuta più che irrequieta e perseguitata da foschi incubi (significativo a questo proposito l'episodio del coltello, col quale la bambina tentò di uccidere il padre durante una delle sue "performance" nel cuore della notte!), pensi addirittura di essere diventata pazza, tanto è profondo il baratro della disperazione in cui si è vista precipitare.
"Ho potuto scrivere la verità - afferma l'autrice - solo quando mi sono sentita neutrale, priva di odio e di rancore. Non è stata una forma di terapia ero già abbastanza distante"
Non è solo diventata una scrittrice di grande finezza stilistica questa coraggiosa donna, ormai cinquantenne, madre di cinque figli, ma anche una psicoanalista capace di aiutare altre vittime di traumi e violenze.
Chi meglio di lei avrebbe potuto capire e cercare di lenire struggenti ferite di anima e cuore?
"Il tempo passato fuori" è la testimonianza di un mondo coloniale scomparso, espressa con penna di estremo lirismo, ma soprattutto la storia di una vita di donna che ha saputo riscattarsi dall'orrore di abusi subiti, guardando in alto, sorretta dalla luce di una natura salvifica.

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 12 Settembre 2006

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