I racconti di Grazia
Il ritorno di Ginevra
Sostò a lungo su quel monte, Manrico. Si
trattenne in quel paradisiaco boschetto finché le ombre della sera non
distesero il loro manto violetto sul volto di Ginevra, che ormai intravedeva
a malapena, quasi fosse un’eterea epifania.
“Si è fatta notte - mormorò lei in un sussurro - tra poco
chiuderanno le porte dei giardini. Dobbiamo andarcene, se non vogliamo restare
bloccati dentro”.
“Ti dispiacerebbe così tanto ?”
“Soffro il freddo della notte, preferisco l’atmosfera raccolta e
rassicurante di una casa, anche se praticamente non sono certa di possederne
una, a meno che non mi sia dato di vivere dentro quella del romanzo, in cui
vivevo come Ginevra Valmarana : era un palazzetto liberty, con pareti gialle
e avorio; a quell’epoca mi piaceva sostare nel solarium: è
in quel luogo protetto dai vetri, illuminato da una luce densa, come quella
che filtra dalle pareti d’alabastro del mausoleo ravennate di Galla Placidia,
che ho scritto Signora a una piazza”.
“Basta con queste fantasticherie. Non mi piace saperti uscita dalle pagine
di un libro, col tuo nome medievale, abitante di una casa che forse non è
nemmeno tua, piena di ubbìe”.
“A te dispiace il pensiero che io non ami la fusione nell’uomo,
l’annullamento per cui due diventa uno, come dice Zarathustra,
anche se con lessico più alato e misterioso. Vorresti che io fossi una
donna banale, sottomessa, complementare al maschio, ti dà noia
la mia piazza interiore monoposto...”
“Mi dà noia soltanto constatare quanto il tuo sia un partito preso.
Anch’io non tengo per niente a una con-fusione dei due esseri
in uno, ma visto che tu non sei certa di avere un alloggio e io sono intristito
dalla solitudine di una vita da scapolo, non capisco perché non potremmo
cercare un alloggio che ci permettesse liberamente di farci compagnia, data
soprattutto la magia di questo nuovo incontro che ci ha messi davanti al fatto
compiuto dell’istintiva simpatia : abbiamo gli stessi sentimenti al punto
che i nostri corpi hanno goduto assieme, si sono uniformati al cuore ; il latte
della vita che portiamo dentro è sgorgato da noi, come un liquido velluto
d’avorio. Non avere vergogna : questo è un evento dolcissimo al
di là del bene e del male, un evento solo nostro di cui dobbiamo
essere orgogliosamente gelosi”.
“Proviamo” - rispose laconica Ginevra, che era più secca
e immediata del suo compagno, fortunosamente di nuovo incontrato, meno incline
al filosofeggiare, anche se del tutto avulsa da moralismi.
***
Entrando nella stanza dell’abitazione dove alloggiava
Manrico - che da tempo aveva lasciato la sua lussuosa dimora veneziana (la ricordate?)
a causa di rovesci di fortuna - la donna rimase meravigliata dalla grande profusione
di libri : le pareti erano quasi completamente ricoperte da volumi esposti con
il dorso, dentro bacheche a vetri, semplici protezioni perché la polvere
non li danneggiasse. Il mobilio era essenziale : un tavolo massiccio di legno
scuro, un computer, un letto ampio coperto da un raso color rubino, damascato
in tinte più sobrie, due poltroncine leggere, una credenza con dentro
stoviglie bianche, fini.
In casa non si era portato nulla del fasto del suo negozio d’antiquario,
come se qui volesse depurarsi da un eccesso di eleganza, preferendo l’essenzialità
al lusso, all’ostentazione e – a dire il vero – anche perché
gli affari gli erano andati maluccio, ultimamente.
“Teniamo entrambi alla nostra libertà e non vorremmo logorare un
incontro così magico con la routine di un matrimonio – si affrettò
a dire - io conosco le insidie della noia più di te, che dici di uscire
dalle pagine di un libro”.
“Bene, smettiamola con questa storia del libro : è il mio paravento,
quasi una persona, una maschera di comodo che mi separa dai guai del mondo,
un’illusione a cui io stessa voglio credere, perché mi fa vivere
meglio”.
***
Si spogliarono lentamente, non per pudore, ma piuttosto perché
volevano assaporare nella sua pienezza questa prima volta della loro reciproca
nudità.
Si sdraiò prima Ginevra e posò felice il capo su una federa di
bucato, ornata da un fine orlo a giorno, immacolata. Manrico voleva che il letto
del loro primo incontro non portasse tracce del suo passato di uomo solo.
Le molle cigolarono piano, complici di questa unione ; il tessuto fresco delle
lenzuola li fece rabbrividire all’unisono, quasi il brivido fosse un respiro
unico di nuovi amanti. Manrico la baciò a lungo sulla bocca, introducendo
la lingua dolcemente, indugiando sui denti di lei e sul palato : una piccola
schermaglia di lingue che si sovrapponevano per cedere poi l’una all’amorevole
violenza dell’altra. Scese lungo il collo, sempre più giù,
fino alla seta tenera del suo ventre.
Fu una notte d’amore ubriacante.
L’alba sporcava di rosa il cielo, macchiandolo dell’oro pallido
del mattino e si insinuava nella camera attraverso le fessure delle imposte,
creando un’atmosfera surreale, come se volesse collaborare alla loro favola.
Grazia Giordani