I racconti di Grazia

Il tetto

Seminascosto dai rovi, mostrava ancora il suo fascino decaduto, ma non del tutto cancellato, il bel palazzo gentilizio, abbandonato a se stesso da troppi decenni. Rughe profonde avevano devastato la sua aristocratica pelle, increspatasi soprattutto attorno alle occhiaie vuote di finestre ormai senza vetri. Il blu stellato entrava a tratti dal soffitto nei punti in cui il tetto si era guastato, e l’alba ricamava fiori rosa e di perla sulle pareti dell’immenso salone o sulle pentole di rame, miracolosamente rimaste appese nella rastrelliera della buia cucina.
Fu un amore improvviso per quei due giovani sposi americani, italo americani, sarebbe più esatto dire, visto che fecero la prodigiosa scoperta, ospiti di parenti, durante il loro primo viaggio in Italia. Passeggiando in collina, inerpicatisi lungo un viottolo tortuoso, lo videro comparire, altero e seducente, deciso ad attenderli attraverso i secoli. Un sogno che si faceva realtà, come raramente accade. Le ricerche degli antichi proprietari furono lunghe e faticose, ma Jack e Mary non si lasciarono scoraggiare. Bastò una cifra irrisoria per l’acquisto. Il restauro si presentò subito difficile e molto dispendioso. Fortunatamente, il danaro non era un loro problema. Ne seguirono le fasi con meticoloso entusiasmo. Videro l’aggrappaggio dei muri, vivendolo come un amplesso amoroso, seguirono la ristrutturazione dei pavimenti, godendo dello scintillio dei marmi e del fulgore delle superbe venature che parevano riscaldare il sangue, in sintonia, anche nei loro corpi; subirono il dolore dello strappo, dalle pareti di una stanza centrale, al secondo piano, di un serico damasco dai finissimi decori, impossibile da riparare. Con i brandelli, ancora buoni, rivestirono gli interni di un’immensa scaffalatura e lo fecero con le loro mani; le stesse mani che lucidarono bacili e paioli di rame, rimasti abbandonati nella grande cucina. I lavori procedevano lenti e regolari. Il cuore dei due sposi batteva all’unisono col picchiare degli attrezzi meccanici e col vociare dei muratori e di quanti si stavano occupando del risanamento di quel singolare palazzo.
Ma la sorpresa venne dal tetto. Di là uscirono nidi di uccelli spaventati; l’alloggio di martore meravigliate dallo sfratto; piante pervicaci che si erano ostinatamente radicate negli anfratti e – macabro oggetto di meraviglia! – lo scheletro di un neonato. Uno scheletrino miniaturizzato, incastrato in un punto impensabile del sottotetto, fu la causa innocente della sospensione dei lavori. Ne seguì una specie di consiglio. Una riunione tra manovalanza, neo proprietari e direttore dei lavori. Decisero di non farne parola con le autorità. E seppellirono quelle piccole ossa ai piedi di un rosaio, miracolosamente sopravvissuto nell’ingarbugliatissimo giardino.
Ormai, la splendida costruzione aveva ritrovato tutto il suo antico smalto. Le stanze erano state ammobiliate con pezzi d’epoca. La biblioteca rigurgitava di testi antichi e moderni. La cucina sfavillava di rami e porcellane. Mary volle dare una festa a cui presero parte italiani e americani. Le sue belle dita sfiorarono l’avorio di una pregiata tastiera offrendo sapiente interpretazione dei Notturni di Chopin che tanto amava. Serata memorabile, chiusa dentro il frusciare di sete firmate, intimamente avvolte ai corpi delle sue ricche ospiti; aperta allo chic più raffinato che si possa immaginare.
Il grande letto accolse gli sposi sul fare dell’alba, quando le luci incipriano il mondo di un argenteo pulviscolo sottile. Mary sognò subito. Chiusi gli occhi, visse una retroattiva avventura. Si vide ventenne, al cadere del secolo dei lumi. Innamorata persa del signore del palazzo, nascondeva sotto complici vesti la sua gravidanza ad amici e parenti. Con l’aiuto di una fida ancella, diede alla luce una vispa bambina che le fu sottratta prontamente. Poco dopo udì strazianti vagiti e le fu detto che la piccola era morta. Perché seppellirono il corpicino nel sottotetto? Non sarebbe stato più razionale interrarlo nell’orto o nel giardino? Nessuno le parlò mai più del luttuoso avvenimento. Lei stessa lo rimosse. Svegliandosi, trafitta dalla lama spietata di un sole offensivo, a piedi scalzi, in quel fulgente mattino, scese in giardino, presso la sepoltura di quel piccolo scheletro ritrovato. Una rosa rossa, cuoriforme, sbocciata fuori stagione, diffondeva nell’aria un insopportabile profumo.

Grazia Giordani

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