I racconti di Grazia
Inquietudine
Entrarono silenziosamente nella stanza i suoi piedi
snelli, calzati da mocassini. Riverberi guizzanti di luce, filtrata dalle imposte
mal chiuse della finestra, levigarono il pallore del suo viso. La sua mano,
abituata a quella camera, cercò nervosamente l’interruttore. La
chiavetta fece clic.
Carte sparse per terra e sul divano d’angolo la meravigliarono subito.
Edgardo era ordinato fino alla paranoia e non si sarebbe mai allontanato, lasciando
un simile scompiglio alle sue spalle.
Giaceva riverso, quasi nascosto dall’alta spalliera della poltrona, l’uomo
con cui era vissuta per troppi anni. Dal ventre della cassaforte spalancata,
uscivano altri documenti scomposti.
Questo fu quello che vide, in un susseguirsi di piani cinematografici, e non
provò emozione, solo stupore rivolto anche alla sua assenza assoluta
di sentimenti.
Aveva patito troppo in passato perché pietà e sofferenza la toccassero
oggi.
Si avvicinò.
Sangue rappreso gli lordava la tempia e un rivolo vischioso aveva inzuppato
il colletto della camicia. Si specchiò, senza volerlo, nel vassoio d’argento
dove il morto, quando era vivo, raccoglieva le sue lussuose Mont Blanc di cui
era gelosissimo («la moglie e la stilografica – usava dire –
non si prestano mai»; ma lei era certa che avrebbe prestato con meno strazio
la prima piuttosto che la seconda) e non si compiacque del suo stesso aspetto:
era più morta del morto. Occhi spenti la guardavano indifferenti a se
stessa.
E adesso, che fare?
Mentre sollevava la cornetta del telefono, forse per chiamare la polizia, uno
sparo improvviso la freddò, secco e inaspettato, lasciandoci impotenti,
e in preda a una fredda inquietudine, ad osservare i due cadaveri.
E mai sapremo i motivi del duplice omicidio.
Ci allontanammo, in un gelida dissolvenza, attenti a non pestare la chiazza
rubino scuro sul pavimento.
Grazia Giordani