I racconti di Grazia

L’Ombrellara

Forò, all’improvviso, l’aria calda di quel giorno di piena estate l’urlo offensivo della sirena. Subito dopo vidi il cellulare. Due poliziotti stavano forzando le gambe scheletrite di una donna a salire dal retro. Il resto di quel corpo denutrito continuava ad opporre resistenza, in un gesticolare isterico di braccia. La testa apparve in fine. Vedevo chiaramente gli occhi sbarrati, privi di colore – avrei detto di una vecchia – se uno dalla strada non avesse urlato: “Assèla stare, no la gà fato gnente. La xè solo ‘na pora ragassa imbriaga. E po’ se la fa la fa col suo – Lasciatela stare, non ha fatto niente. È solo una povera ragazza ubriaca, e poi se fa, fa col suo…”.
“Ma chi è, cos’è successo?” – chiesi, sporgendomi dalla finestra.
“La xè l’Ombrelara. Quela che giusta i ombrèi là sotto l’Adese” – È l’Ombrellara, quella che aggiusta gli ombrelli, là sotto l’Adige”.
Altri m’informarono, prontamente, che quella strana ragazza (difficile dimenticare le macchie bluastre sulle sue scarnite cosce e quello sguardo di animale braccato e la bocca sfatta, come un fiore vizzo) oltre ad aggiustare ombrelli, in società con la madre, confortava la solitudine di qualche mediatore o fittavolo di passaggio nella nostra piccola città. Il lenone era un giovane dell’Est – detto lo Slavo – un vigoroso energumeno con la fedina penale più sporca della sua biancheria. Distribuiva biglietti numerati ai consumatori che, seduti lungo l’argine del nostro grande fiume, attendevano il loro turno, pazienti e disciplinati, tanto sapevano bene che l’Ombrelara o la madre li avrebbero soddisfatti, in cambio di poche lire o di una bottiglia di vino di poco prezzo.
Mi parve una storia incredibile, da neorealismo di bassa lega.
Chiusi, malinconicamente la finestra, su quell’aria rovente, sul mormorio della folla che si era assiepata attorno al cellulare, sulla mia stessa curiosità.
Dopo qualche anno, passeggiando, con mio figlio, in quel luogo magico dove l’Adige disegna un’ansa voluttuosa, quasi carnale, ricca di pruno selvatico e di erbe e fiori profumati, solcata dal volo di uccelli palustri che nidificano negli isolotti, proprio dove le mitiche Torri Marchesane, appaiono e scompaiono, quasi inquietanti fate morgane, proprio là, mi apparve una casupola semidiroccata, preceduta da uno scolorito cartello.
“Chi ci abitava?” – chiesi a un contadino che raccoglieva erba per i conigli”
“I xè tuti morti. Qua ghe stava l’ombrelara, quela che giustava i ombrèi e no solo quei… - Sono tutti morti. Qui ci stava l’Ombrellara , quella che aggiustava gli ombrelli e non solo quelli…

Grazia Giordani

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