I racconti di Grazia
La statua
Con grande naturalezza, come se gli portasse in
dono un accendino, un cd, un libro - che ne so? – una cosa normalissima,
entrando nel suo studio, i capelli fradici di pioggia e un sorriso obliquo,
appena posato all’angolo della bocca: “questo bozzetto era stufo
di starsene sul piedistallo del mio salotto – aveva detto a mezza voce,
come se parlasse fra sé – quindi ha deciso di traslocare in casa
tua”.
Al momento, restai senza parole, stordito, mi pareva uno scherzo.
“Ma…” - tentai di dire – e a quel punto, un imperioso
drin-drin telefonico, mi trasse dal momentaneo imbarazzo.
“Non ci sono ma che tengano! Non si può non esaudire un desiderio
di marmo, uno dei materiali meno malleabili che io conosca … E poi, quando
abbiamo visto insieme l’originale, a grandezza naturale, della statua,
avevi detto che ti piaceva molto e che – avendo posato mia madre –
non ti meravigliavi della somiglianza con la mia figura, e che è proprio
questo che ti intriga: un transfert madre-figlia che regala piacevole ambiguità
alla situazione.”
“Ma come sei contorta!”
“Veramente, non faccio che riferire le tue parole. Dette da te, erano
normali, ripetute da me si tingono di colore torbido?”
“Grondi acqua ovunque. Va in bagno, asciugati. Ti preparo qualcosa di
caldo?”
“Abbracciami. Tu sei la cosa più calda che io possa immaginare
in questo momento.”
”Come sempre accadeva, quando si precipitava, inaspettata a casa mia,
finimmo a letto. Era delizioso, quanto inevitabile. E ogni volta mi sarebbe
piaciuto trattenerla per sempre. E ogni volta non dubitavo che ci sarebbero
state altre volte ancora, come se l’eco di perla della sua risata avesse
continuato ad abitare gli spazi intimi dei miei pensieri e della mia stanza.
Nemmeno spalancando le finestre, si sarebbe persa quell’eco argentina,
quello squillare di note gioiose, capaci di accendermi anche a distanza.
Se ne andò com’era venuta, lasciandomi la statua sul mobiletto
di fronte al computer.
Le fattezze della madre sembravano un clone delle sue. Veramente, sarebbe meglio
dire viceversa. Ero felice di quel dono. Accarezzai le curve del seno di marmo,
che sotto il contatto delle mie dita, parvero riscaldarsi, eccitandomi come
se lei fosse nuovamente al mio fianco. Le labbra scolpite, sotto le mie, parvero
farsi di carne.
Stavo amando la madre o la figlia?
Che idee malsane!
Sarà questa giornata di interminabile pioggia, il cielo d’antracite,
la primavera che resta incapsulata nell’autunno, la vita che non si ferma,
corre avanti, sarà che vorrei averla ancora qui, sarà che ho paura
di amarla troppo, facendola soffrire, soffrendo.
Eppure, la statua sembra sorridermi con ironia. Lei sa, lei sola ha penetrato
l’enigma delle cose.
Grazia Giordani