L'eco della montagna

Epilogo

La vita di Helga riprese a scorrere nel suo solito tran-tran.
Lezioni ai suoi allievi; passeggiate in città, qualche concerto o spettacolo teatrale, molte letture; fine settimana sereni nel cottage in montagna con piacevole frequentazione dei suoi vicini che le divennero, nel tempo, sempre più amici.
Aveva rinunciato a un’esistenza in technicolor, ora si contentava di vivere in bianco-nero. Aveva i suoi ricordi. Ripensava, talvolta, alla sua infanzia protetta dall’ affetto dei suoi; agli anni di studio proficui; alle soddisfazioni nel lavoro, ma non le era mai accaduto nulla di veramente forte. Anche l’abbandono di Sandro e la deluse aspettative nei confronti di Carlo non le avevano poi cambiato l’esistenza. La vita le era scivolata addosso, senza scalfirla, incapace di scrivere sulla sua pelle disegni indelebili, decisi.
Niente di veramente determinante l’aveva scossa nel profondo.
Per lei non c’erano mai stati uragani, ma solo piogge, anche forti, che lavano magari, ma non distruggono.
Certo, non avrebbe voluto soffrire la sorte di Fatma, sfigurata, per infedeltà e cacciata dal marito e dai suoi, dopo aver perso la sua bellezza, ripudiata da tutta la sua gente e ancora così piena di nostalgia per quella casa lambita dal Tigri, immersa in profumati giardini. Eppure, quella giovane irachena, anche se così ferita nel corpo e nei sentimenti, aveva avuto una vita più piena della sua ed era riuscita, anche se così massacrata dal vetriolo, a conquistare Carlo.
«Può essere più seducente una donna deforme, ma con un cuore vivo, un sangue capace di passione, di una dona come me, tutta intera, ma incolore, sempre uguale a se stessa, monotona agli occhi del mondo, destinata all’anonimato.»
Distratta da questi pensieri, non vide un auto che sbucava a tutta velocità dal lato opposto della strada.
Fu uno schianto improvviso e definitivo.
L’unico fatto eclatante che le era accaduto, non le fu mai dato saperlo.

Grazia Giordani