I racconti di Grazia
IL PINO CON LA CODA DI VOLPE
A Spina, chi ha un terzo occhio può vivere
un'esistenza un po' magica. Il luogo si presta in maniera speciale a una dimensione
di realtà rarefatta, di un lirismo sottile che le persone predisposte
sanno captare.
Ho avuto subito questa sensazione, una decina d'anni fa, dopo aver messo piede
nel minuscolo monolocale, tuffato nel bosco, divenuto rifugio delle nostre vacanze
estive. Quasi inclinato verso il terrazzo, c'era un pino marittimo, deforme
per una forte gelata avvenuta nella stagione fredda. Nella parte destra, ho
notato nei giorni di vento, quelli che presagiscono bufera, sporgere una coda
di volpe, formata da un grosso ramo, piumoso, quasi arrogante. Lo strano mix
di albero-animale creava un clima incantato, una simbiosi astratta e pure reale,
lì davanti ai miei occhi.
Nei giorni sereni, o di brezza leggera, la coda di volpe si contraeva e formava,
verso l'esterno, un elegante cuore, attraverso cui si vedevano nuvole leggere
o voli d'uccelli incorniciati per un attimo, per una frazione di secondo.
Il pino era diventato per me quasi un barometro poetico, un mezzo sicuro e segreto
per conoscere gli umori della giornata. Se imperversava la coda di volpe, normalmente
rinunciavo ad andare alla spiaggia, tanto sapevo che sarebbe stato inutile:
un temporale improvviso mi avrebbe rovinosamente costretta a rincasare.
A volte il cuore si disegnava nel cielo soltanto a metà, come se fosse
spezzato da un dubbio crudele e così anche le sorti meteorologiche restavano
incerte per l'osservatore.
Questa non è la sola dimensione "magica" di Spina. C'è
anche la passeggiata nella zona di spiaggia libera tra il bagno "Le Piramidi"
e le foci del Reno. Si respira un clima selvaggio in quei luoghi, vagamente
africano. Da un lato si costeggiano i detriti portati dal mare. Alberi divelti,
levigati dalla salsedine e dalle onde, sembrano statue lignee, sculture indecifrabili,
totem misteriosi.
Teresa e io, nelle nostre lunghe passeggiate, ne abbiamo battezzato qualcuno.
C'è la strega dai lunghi capelli, una specie di gorgone arborea che ci
fa vagamente paura; si profila oscuro all'orizzonte il "transatlantico"
ed è accasciata a terra la "mater dolorosa" che sembra piangere
riversa, in direzione del lago. Pomposamente è detto il lago un grande
stagno intorno cui fiorisce, rigogliosa, l'erica del Reno. Alla stagione giusta
è cigliato d'ametista, questo specchio d'acqua, e un velo leggero gli
vibra intorno: sembra fatto di lievissimi flabelli in fiore.
In questa zona, qualche anno fa, fu consumato un efferato delitto. Per chi le
sa ascoltare c'è ancora nell'aria un'eco di voci di dolore annidate sotto
le tamerici basse e pungenti, coagulate nel canneto, voci sorde e felpate.
In una giornata di tempesta, in cui recandomi alla spiaggia, non avevo dato
retta alle premonizioni della cosa di volpe, Teresa ed io abbiamo fatto finta
di vivere dentro le pagine di un romanzo di Conrad, dentro l'occhio del ciclone.
A mezzo tra spaventate e divertite, siamo tornate a casa, dopo la lunga camminata,
per bere qualcosa di caldo. Ci siamo sedute nel piccolo terrazzo coperto del
monolocale, accolte dal tenue saluto del rosaio giallo un po' spocchioso ed
appartato. Alzando gli occhi verso il pino, abbiamo visto solo il moncone miseramente
reciso dalle mani di uno zelante giardiniere
Addio, coda di volpe delle
giornate di tempesta, addio arboreo cuore dei giorni sereni. La chioma nuova
- se rinascerà - avrà ancora la divinatoria magia?
Grazia Giordani