I racconti di Grazia
LE AMICHE
Erano già ferme ad attendermi al casello
dell'autostrada est. Riconobbi subito Gloria, avvolta nel golf di lana d'Irlanda
che le avevo portato da un viaggio invernale.
Una strana illusione ottica creava un'aureola chiara, attorno al suo volto,
quasi dal di dentro emanasse lei stessa una luce. Luisa era alta, come mi era
stata descritta, atletica nella figura, lo sguardo mite della donna dolce e
remissiva.
Una strana coppia, la mia amante e l'amica, che prometteva un singolare incontro
a tre. Avrei dovuto superare un insolito esame: volevo far colpo su Luisa, per
piacere sempre di più a Gloria: un gioco sottile, piacevolmente perverso,
fatto di elucubrazioni amorose, sommerse dentro la psiche.
Mi ero "premurato" di fare le cose per benino: la Volvo pulita a fondo,
all'interno era lucida come un salotto. Avevo acquistato, un po' riottoso, due
rose rosse da offrire alle mie ospiti. Per Gloria avevo sempre colto fiori di
bosco, fasci di ginestre o ireos, legati in rustici mazzetti, che le piacevano
tanto e la mandavano in "visibilio", come amava dire, ridendo con
la testa riversa sulla mia spalla.
Si stabilì subito un clima di confidenza, un triangolo di cospiratrice
amicizia, rinsaldata dalla pace del ristorante, perso tra il verde ormai bruno
della collina, pronta ad indossare gli abiti dell'autunno. Le avevo di fronte
a tavola, femminilissime, sempre più sciolte. Le scrutai bene. Gli occhi
di Luisa, senza lampi di malizia, facevano da controcanto - come note in sordina
- ai lampi bruni dello sguardo di Gloria, reso obliquo da un ammiccante strabismo.
Stuzzicai la mia donna con galanterie rivolte all'amica. Mi piaceva l'atmosfera
ambigua, il sapore un po' torbido di trasgressioni soltanto pensate. Mi sarebbe
piaciuto chinarmi a toccare le ginocchia delle due donne così dissimili
e così unite, slacciare le loro camicette, incespicando nell'impedimento
di asole e bottoni. Mi accontentai di pensarle, queste azioni, in una luce di
acquario, resa verde dal riflesso del fogliame fuori dai vetri. Pensai al segreto
delle loro cosce così chiuse e composte sulla seggiola, caldi misteri
di carne.
Masticavamo all'unisono, "rullandoci" i bocconi dai piatti, la gola
stuzzicata dal gelo dello champagne, legati da un'amicizia strana, quasi ubriacante.
Le loro mani così diverse, per forma di unghie e di dita, furono rapide
nello spalmare il rossetto sulle labbra ormai pallide, alla fine del pranzo.
Era come dire: "È finita, missa est. Il momento magico è
arrivato ad un irreversibile stop". Avrei voluto trattenerle, prolungare
quel misterioso piacere, fatto di vellicanti equivoci. Le vidi ripartire esitanti,
mi parve che anche il motore della loro auto avrebbe preferito restare. Furono
inghiottite da una macchina chiara, squadrata nella forma. Tornai, pigramente,
al lavoro, soffocando gli sbadigli di una digestione affrettata e di uno stacco
troppo brusco da momenti piacevoli. Immerso nel progetto da consegnare all'architetto,
non pensai più alle "mie ragazze", come le avevo scherzosamente
chiamate, nel corso dell'incontro.
L'indomani lessi sul giornale dell'incidente: un camion, uscito dalla corsia
dell'autostrada, aveva rubato la loro ingordigia di vivere. Pensai: "Gloria
non sarà mai morta del tutto. La porto dentro come un coltello che penetra
una ferita e la fa sanguinare sempre più, come il profumo intenso delle
ginestre che coglievamo insieme, lungo il pendio della collina, bruciata dal
sole, come lo strazio dei suoi capricciosi abbandoni, dei suoi dubbi amorosi,
tenere ossessioni. Non posso cedere ai rimorsi delle cose che non ho voluto
dirle, del suo telefono muto, per i silenzi del mio". A Luisa, penso come
a un'appendice di lei, a un mite ornamento di vita recisa.
Chiudo gli occhi, e sento le mani lievi della mia donna, la sua piccola risata
di perle, la sua corsa affannata per raggiungermi presto. Vedo brillare, nell'ombra,
la macchia color porpora delle rose donate all'appuntamento: si mutano in due
fiori di sangue, conficcati nel petto delle due amiche.
Non voglio svegliarmi dall'incubo, meglio questa macabra fantasia, piuttosto
che la realtà della loro morte, meglio la sofferenza di sogno, piuttosto
che accompagnarle per l'ultimo viaggio. Non voglio vedere, non voglio sapere,
mi piace imbrogliare me stesso, tuffarmi dentro un mare consolatore di fantasie,
dove posso ancora passeggiare con Gloria in boschi di luce, stringerla nelle
calli di una Venezia onirica, dai canali disseccati, baciarla contro il muro
di una chiesa della memoria.
Penso: "Se la separo da Luisa, torna viva, se rompo il gemellaggio delle
loro esistenze, si frantuma l'incantesimo, e spero, spero con l'ostinazione
di chi si aggrappa all'ombra triste di un'allucinazione".
Secondo finale
Furono inghiottite da una macchina chiara, squadrata nella
forma. Pensai che era, in fondo, solo un arrivederci. Luisa avrebbe ripreso
la sua vita di donna gentile, e Gloria - la mia Gloria - avrebbe continuato
a regalarmi tutti gli spazi di esistenza che le era possibile serbare per me.
Avremmo continuato all'infinito i nostri incontri furtivi ed eccitanti, momenti
di un unisono d'amore che credevo esistesse solo nei romanzi.
Piccola, deliziosa rompiscatole, subito domani mi avrebbe chiamato al telefono:
già sentivo nell'orecchio la carezza della sua voce.
Grazia Giordani