I racconti di Grazia
LES REVENANTS
"Regarde, maman regarde là-bas"
- gridava una vocetta infantile di bambina che intanto puntava anche il dito
grassottello verso la finestra di una casa gentilizia, ancora dignitosa, anche
se in abbandono.
Le prime ombre del crepuscolo sembravano avvolgere in un sudario palpitante
di foschia, quella singolare costruzione, piantata sulla riva di un canale,
arrossato dall'ultimo barlume di tramonto, ormai un sospetto di fuoco che stava
per spegnersi.
Un'aura di mistero incorniciava personaggi ed avvenimenti, in quella campagna
solitaria, in cui solo la vocetta della piccola rompeva un silenzio senza tempo.
La madre alzò gli occhi verso la trifora ed ebbe l'impressione di intravedere
una ciocca bianca di capelli, passare rapida - come un volo d'uccello che solcava
il vetro impolverato -, e poi una mano femminile protesa in un gesto di carezza
(verso il volto del possessore della candida ciocca?).
La fantasia comincia a farmi "viaggiare" dentro storie ipotetiche
- pensò la madre -, per nulla spaventata, soltanto incuriosita dall'insolita
situazione.
Da qualche giorno la giovane francese era ospite da parenti, in quella deserta
campagna vicentina, dove aveva cercato, con frequenti passeggiate in compagnia
della sua piccola Marie, di alleviare la noia di un tran-tran agreste, sempre
uguale.
Madre e figlia avevano visitato ville di superba bellezza, appartenute ai Barbarigo,
ai Loredan, e ai Rezzonico, nei vari passaggi di proprietà, veri gioielli
di raro splendore, ma era stata proprio quella costruzione senza pedigree, che
non figurava nei manuali accreditati, ad averle attratte in maniera forte.
C'era qualcosa di nobile e selvaggio a un tempo, quasi un arcano magnetismo,
che si sprigionava da quelle mura sbrecciate, dalle arcate larghe di un sottoportico
lontano dai canoni classici, sotto cui era visibile una catasta di legna e un
grosso paiolo, pronti a contraddire l'immagine della casa veramente abbandonata.
E poi cos'erano quelle ombre, quella traccia chiara, forse di capelli, quella
mano sospesa che madre e figlia avevano confermato l'una all'altra di avere
veramente visto?
Una persona pavida avrebbe detto: cambiamo strada; affrettiamoci a tornare dai
parenti. E se la sarebbe addirittura data a gambe, magari correndo con il cuore
in gola, verso luoghi illuminati e rassicuranti Una persona indifferente non
avrebbe occupato altro tempo a pensare a misteri, forse frutto di fantasia.
Anne e Marie appartenevano alla rara specie di persone in cui la curiosità
è tale da sconfiggere la paura: madre e figlia avevano cuore e cervello
in perfetta sintonia, pur con le dovute differenze, date dalla diversa età.
Prese per mano la sua Marie, la madre, e cominciò a pensare al modo di
entrare nella villa, o almeno di controllare la ragione di quelle strane apparizioni.
Aveva riso, incredula, quando la figlia le aveva detto, con estrema serietà:
"Il ya des revenants, dans cette maison, je pense, maman.",
poiché le era parso buffo un pensiero così adulto dentro una testolina
tanto piccola.
Anne non credeva ai fantasmi, era una donna troppo terrena, per prestar fede
al soprannaturale, e inoltre, dei fantasmi bisognosi di riscaldarsi con della
legna, le apparivano troppo terreni per essere creature del surreale.
Comunque era curiosa, tanto curiosa.
Non le fu difficile trovare una manico di zappa appoggiato alla parete, nel
sottoportico, con cui forzare un chiavistello che non oppose troppa resistenza.
Entrarono, con qualche cautela, spingendo a quattro mani, un portoncino di legno
massiccio, abbastanza corroso dal tempo, che cigolò - come da manuale,
com'era giusto aspettarsi che stridesse -, vista la situazione.
Buio all'interno, buio fondo e sentore di umidità.
Non c'era nemmeno tutta quella polvere che sarebbe stato giusto aspettarsi,
pensò Anne, illuminando la scena con un accendino che - accanita fumatrice
- portava sempre in borsetta.
Vide un tavolo di legno scuro, attorniato da seggiole imbottite, ricoperte da
un tessuto un tempo fiorato, forse, ora di indeciso aspetto; indefinite, quelle
seggiole, come tutto quello che appariva nella stanza, sfumato dall'incerto
baluginare della piccola luce dell'accendino.
Nel caminetto d'angolo la cenere sul fondo sembrava stranamente tiepida, quasi
fosse il resto di un fuoco spentosi in ore non troppo lontane.
"C'è qualcuno in casa?" - domandò Anne, nel vuoto -
nel suo italiano dal forte accento francese, non libero da quei suoni nasali
che non appartengono alla nostra lingua.
Nessuna risposta, nessun rumore, nessun segno di vita.
Un libro aperto, sopra uno scaffale, ostentava una strana freschezza, come se
le sue pagine fossero state appena sfiorate da amorevoli dita. E nell'aria si
respirava la stessa "essenza amorosa", un profumo rarefatto di sentimenti
lì coagulati e riassunti, in un ideale consommé, qualcosa
di inesprimibile a parole, ma che Anne - soprattutto lei -, avvertiva in maniera
inequivocabile.
Avvicinò la fiammella tremolante dell'accendino alla pagina aperta, lievemente
ingiallita ai bordi, e lesse alcuni versi di Paolo Silenziarlo ("Stavo
per dirti 'Addio', ma ho frenato/la voce e sono qui ancora con te./.Quanto l'odiosa
notte d'Acheronte/io temo la tua amara lontananza./Come la tua luce è
simile al giorno!/Ma il giorno è muto/e tu invece mi porti la tua voce,
/più dolce di quella delle Sirene./Ad essa è legata ogni mia speranza").
Conosceva quel prodigioso autore, uno degli abitanti più interessanti
dell'"Antologia Palatina"; con un suo innamorato, in anni non troppo
lontani, ne aveva tradotto brani dal greco. Eppure, in quel preciso momento,
ritrovarsi davanti agli occhi quelle frasi ardenti, che dalla profondità
dei secoli trascorsi, riportavano tutto il fuoco del loro linguaggio d'amore,
le procurò uno strano fremito, quasi un piccolo stordimento, un annebbiarsi
delle sue idee, pur sempre tanto lucide.
Tra poco si esaurirà la luce dell'accendino - pensò - sarà
meglio che ritorniamo all'aperto, tanto qui non c'è nessuno; qui è
rimasta solo l'essenza intellettuale di un passato irrimediabilmente trascorso.
Qui ritroviamo soltanto il materializzarsi di una "memoria" e ne sentiamo
la forza. Qui dentro c'è stata gente che si è molto amata e ha
lasciato traccia del proprio lontano sentimento, tanto che la cenere è
ancora capace di mantenere tepore e le pagine di un libro sembrano appena sfogliate.
Decise di uscire, di non perlustrare il resto della casa. Non aveva più
bisogno di vedere nulla. Era come se già conoscesse il resto di quella
abitazione. Già sapeva che al piano superiore c'era un letto, con il
raso che scendeva dal baldacchino, liso agli orli, già conosceva il blu
spento di suppellettili rimaste in una elegante credenza della vasta sala da
pranzo; già conosceva la forma di un divano dalle molle usurate: quella
casa della memoria non aveva più misteri per lei.
Prese Marie per mano e la condusse, senza fretta, verso l'uscita.
Chiudendo il portoncino, alzarono ambedue gli occhi verso la trifora. Vicino
alla riapparsa ciocca bianca, ebbero l'impressione di vederne una biondo scura,
quasi mesciata: un vibrare di capelli che incorniciavano pallidi volti con occhiali.
"Maman, les revenants, voilà les revenants! " - esclamò,
ostinata, Marie.
Anne non diede risposta alla figlia, ma non poté impedire a se stessa
di pensare che fantasmi con mèches ed occhiali erano una ben strana apparizione
Grazia Giordani