I racconti di Grazia

TAVOLO DA BRIDGE

Si riunivano da ormai quasi trent'anni attorno a quel tavolo scuro. Sorretto da gambe massicce, vestito di un panno verde, ai bordi scolorito: un vestito senza mode e senza tempo, testimone muto delle loro lente smazzate. Un tavolo per quattro, a volte compiacente e un po' sornione. Mentre le mani disponevano picche e fiori in meditate combinazioni, i piedi dei giocatori avevano - soprattutto in passato - lavorato sotto ambigui e tentatori.
I piedi di Clara erano lunghi e sottili, calzati spesso da mocassini morbidi, facili da sfilare, estremità di una donna irrequieta, la voce roca per il troppo tabacco, l'abbigliamento casual, quasi maschile, i calzoni di buon taglio, bluse molto aperte a mostrare l'inizio di seni piccoli ed eretti.
Claudio, il marito, era un uomo taciturno, grande calcolatore nel gioco, considerato la "mente", il mago della licitazione, che sapeva spaziare con intelligenza nel misterioso giardino dei fiori "Romano", "Napoletano" e forse anche di "Timbuctù"…. Così almeno commentava Clara, gelosa della razionalità inesorabile del consorte, in conflitto con la sua ironica fantasia.
Nel gioco preferivano dividere le coppie. Marta, meno irrequieta, più remissiva dell'amica, subiva con classe le ire di Claudio e, al tavolo verde, ne diventava l'altra metà. Una metà in sottordine, come la spalla per il comico, la sguattera per il cuoco.
Alain, il marsigliese della compagnia, era il più enigmatico dei quattro. La sua condotta di gioco appariva irregolare, ora piena di slanci e di concessioni alla creatività, ora ingrigita dai trent'anni di appuntamenti.
In passato era parso che Marta e Alain - i due single per elezione - nutrissero una reciproca viva simpatia. C'era stato qualche viaggio con pernottamento in piccole stanze di alberghi altoatesini, riscaldate d'inverno da caminetti divorati dal divampare delle fiamme. E poi un week-end a Parigi, presi dalla "grandeur" della città, nutriti in piccoli ristoranti di Montmartre, come turisti qualsiasi, senza pretese di distinzione. Liberi, disinibiti, avevano goduto di questo flash d'amore fisico che non li aveva vincolati a niente: né a reciproca fedeltà, né a sentimenti profondi. Di quelli che parlano il linguaggio del "ti amerò per tutta la vita".
Poi Alain si innamorò veramente di Clara. Se ne accorse una sera, quando osservando il volto dell'amica riflesso nello specchio, provò quasi una fitta dolorosa, una voglia di averla tutta per sé, di toccare le sue carni color miele, di perdersi dentro quella scollatura sempre offerta. Si chinò fingendo di raccogliere una carta da gioco e sfiorò con le dita la sporgenza del suo ginocchio. La gamba di Clara "rispose", accostandosi alla sua mano con abbandono. Fu un linguaggio istantaneo, una "licitazione" cui non seppero sottrarsi, piena di antiche malie. Claudio non diede segno di capire, chiuso in una specie di impermeabile di indifferenza, sembrava interessato alle "donne di cuori", piuttosto che alla sua legittima compagna. Da tempo la teneva lontana nel grande letto matrimoniale, preferendo la lettura di manuali di bridge alle effusioni della consorte. Non notava le maliziose combinazioni di pizzo nero che svelavano più che velare i tenui boccioli del suo seno e le cosce efebiche di donna che invecchierà tardi. Le carte non le bastavano. Nella vita aveva altri interessi: slanci sociali, cinema d'avanguardia, pittura, fumetti di Linus. Adorava le patatine fritte a mezzanotte, le sorprese, i viaggi senza meta, gli imprevisti di tutti i tipi.
Alain la travolse. Fu all'epoca di questa passione che i loro piedi presero a "parlare" sotto il tavolo, inverecondi più che mai. Fu tutto uno sfilarsi di mocassini, di alluci strisciati lungo le gambe dell'uno o il ventre dell'altra, mentre le mani continuavano a regolare la danza delle carte, colpevoli ed imprecise, animate da una gioia trasgressiva, sempre più eccitante.
Gli incontri nella piccola garçonnière di Alain forse non erano così appaganti come lo scambio di effusioni del sottotavolo. I corpi, nella stanza del marsigliese - svelati dalle inutili lenzuola nei lunghi pomeriggi -, erano affamati, quasi crudeli nello scambiarsi ardore, ma non raggiungevano mai la soddisfazione allusiva delle sere al tavolo verde.
Marta soffriva per l'orgoglio ferito. Si sentiva tradita più dall'amica che dall'amante. Era divisa tra due atteggiamenti opposti. Da un lato cercava di inventare scuse per rimandare gli appuntamenti al bridge: senza la sua presenza, l'incantamento si sarebbe rotto, la love-story avrebbe avuto degli impedimenti. D'altro canto si comportava come l'assassino che torna su luogo del delitto: non riusciva a svincolarsi del tutto dall'appuntamento col tavolo galeotto, masochista ed impietosa contro se stessa.
Come tutte le passioni, anche questa si spense e divenne una sbiadita amicizia. Clara entrò in una fase di vita sedentaria. Forse divenne più riflessiva, meno sognatrice, ma anche meno appagata e capace di dare sprint a chi le viveva al fianco.
Marta aveva avuto un'altra storia breve e poco gratificante con un greco, incontrato occasionalmente a teatro, e che aveva tentato - in parte riuscendoci - di estorcerle del denaro. Alain era chiuso in un riserbo sempre più impenetrabile, della sua vita privata non si sapeva ormai più niente. Claudio continuò nella sua abulia di bridgista a tempo pieno, posato ,metodico nel fare tutto al tempo giusto e con la debita pignoleria, come piegare il tovagliolo prima di alzarsi da tavola o spremere il tubetto del dentifricio dal basso, senza sprechi inutili.
I quattro bridgisti - dopo un lungo intervallo - si riunirono in una serata invernale piena di vento. Folate fredde si insinuavano nella stanza attraverso le fessure della finestra. La camera era in penombra. Alain accese una lampada dal lungo stelo che proiettò una luce innaturale sulla smazzata chiara nel verde del tappeto, quasi una croce copta stilizzata, parte di un rituale troppe volte ripetuto. Sembrava un disegno di morte, di fine di amori ad incastro, d'inizi di pallide amicizie senza calore. Il gioco non aveva più senso fra loro, privo dei sottintesi del passato; si svolgeva ormai solo sul tavolo senza i risvolti furtivi, non nascondeva più le ombre delle loro vite, non era proiezione di manovre del sottosuolo. Che senso avrebbe avuto continuare? Claudio pensò: "Cercherò altri partner più vivi. Con loro è diventata una noia misurarsi. Clara, Alain e Marta sono ormai dei giocatori fantasma, molluschi senza supporto interiore, mutilati dalla fine dei loro "giochini". Povera gente scialba, dagli ideali sbiaditi! È giunto il momento di scaricarli, come zavorra da gettare a mare".

Grazia Giordani

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