Recensioni e servizi culturali
Il sogno dalmata di Fulvio Tomizza, Mondadori
ISTRIA E DALMAZIA: DUE MONDI IN CONTINUO CONFRONTO
  ""Il sogno dalmata" è il romanzo che oso considerare il 
  mio ultimo capolavoro" - ha affermato l'autore - Fulvio Tomizza (1935-1999) 
  - forse presago di essere in procinto di consegnare ai suoi lettori il suo estremo 
  testamento letterario, con cui si è congedato da un pubblico attento 
  - fin dagli anni dello splendido "Materada" (1960), de "L'albero 
  dei sogni" (Premio Viareggio nel 1969) e de "La miglior vita" 
  (Premio Strega nel 1997) -, alla sua scrittura asciutta venata di una poesia 
  essenziale, in perfetta armonia con i paesaggi scabri e gli stati d'animo sofferti, 
  così esemplarmente descritti.
  Lo "scrittore di frontiera", come amava autodefinirsi, ha chiuso la 
  sua produzione artistica nella più grande coerenza tematica, parlando 
  di quelle etnie minoritarie e di quei luoghi geografici cari al suo cuore, che 
  per anni hanno scandito la puntualità della sua scrittura. Con questo 
  suo romanzo di congedo, l'autore compie un "viaggio" su duplice binario, 
  ripercorrendo le vicissitudini dei suoi avi dalmati fattisi istriani, ripercorrendo 
  quindi egli stesso un viaggio in senso inverso, in un clima di "reale finzione", 
  secondo una cifra narrativa da sempre a lui cara, approfondendo radici e spessore 
  del suo essere uomo ed artista. 
  Mito e storia, coralità ed esperienza intima si rincorrono continuamente 
  nella pagina, intrisa di realtà e sogno, in linea con l' "allure" 
  creativa maggiormente conseguente e connaturata nell'animo dell'autore.
  Nel Seicento prende riparo in Istria una colonia di dalmati e di albanesi, al 
  fine di sfuggire ai turchi e ritrovare la consolazione di una nuova patria - 
  con l'appoggio interessato della Serenissima - sul desolato sfondo di una terra 
  martoriata dall'epidemia della peste.
  La Storia si ripete - sembra dire l'autore, che in effetti, spesso ha sostenuto 
  nelle sue opere, questa tesi di nietzcheana matrice dell' "eterno ritorno 
  dell'uguale" (non è difficile per noi, a questo proposito, operare 
  un confronto con i fuggiaschi che sbarcano attualmente sulle nostre coste pugliesi); 
  anche ai fuggitivi del passato, come a quelli odierni, tocca in sorte l'escamotage 
  di traffici criminali per la sopravvivenza, e - per soprammercato -, nel caso 
  del romanzo, la percezione di essere approdati in terre altrettanto aride di 
  quelle abbandonate.
  La penna di Tomizza, che comunque aveva tanto amato quei luoghi, da lui scelti 
  per viverci in estate (piantando addirittura con le sue mani in quell'arsa terra, 
  un folto uliveto), e per dormirvi il suo ultimo sonno, si fa particolarmente 
  incisiva nel descriverne l'asprezza pietrosa: "Tutti gli elementi del paesaggio 
  istriano si riproponevano inaspriti: le spine formavano da sole le siepi e rispuntavano 
  in altri cespugli sui prati, i massi di pietra non relegati nei boschi riemergevano 
  tra le viti e gli ulivi, il mare che si profilava sotto, ora invitante, ora 
  minaccioso, ribolliva nelle strettoie tra la litoranea elevata e il dorso delle 
  isole. Pecore e capre brucavano quanto di verde trovavano saltando i macigni, 
  ognuna col suo campanaccio al collo, per dare notizie di sé". 
  Il romanzo, tra fantasia e verità, ci offre anche il ritratto di un leggendario 
  avo del narratore: Zorzi Jurcan, già combattente al soldo di Venezia 
  contro i pirati, futuro padrone del territorio, mentre il raffronto tra i due 
  mondi istriano e dalmata si fa insistente motivo conduttore della narrazione.
  Non manca l'amore - sentimento spesso descritto nella tematica tomizziana (vedasi 
  "Gli sposi di via Rossetti" o lo struggente "Franziska", 
  solo per citare due fra le sue ultime opere) -, questa volta sbocciato tra lo 
  stesso narratore e una studentessa universitaria di Zara.
  Al clima festoso ed ammiccante che fiorisce intorno alla vicenda amorosa, descritta 
  con toccante "levitas" lirica, farà da contrasto l'atmosfera 
  bellica, l'odore della guerra, poiché dopo le infervorate giornate dell'indipendenza 
  croata, scoppierà la guerra balcanica, totalmente distruttiva.
  Pagine percorse da un brivido squassante di malinconia, uno spleen esistenziale 
  che abitava realmente anche dentro l'animo dell'autore, sempre consapevole della 
  brevità della gioia, sempre incline ad una sofferta felicità, 
  portatore di due anime, come accade agli esseri dotati di una sensibilità 
  che travalica il normale sentire.
Grazia Giordani