Recensioni e servizi culturali
La casa di psiche di Umberto Galimberti, Feltrinelli
Un viaggio dentro l’anima
  Veramente lodevole l’iniziativa della Feltrinelli di ripubblicare, nell’Universale 
  Economica Saggi, l’opera omnia di Umberto Galimberti, docente di Filosofia 
  della storia e Psicologia dinamica all’Università di Venezia. Dopo, 
  Idee: il catalogo è questo; Gli equivoci dell’anima; La terra senza 
  il male, Psiche e teche; Il corpo; Il gioco delle opinioni; Il tramonto dell’Occidente, 
  ora possiamo leggere con vivo interesse La casa di psiche (Feltrinelli, pp. 
  468, euro 19,5). Ad avvaloraci nella persuasione che nel mondo ci sia bisogno 
  di filosofia, più di quanto si possa comunemente credere, concorre il 
  riscontro della richiesta di specifici testi nelle biblioteche e librerie, oltre 
  all’apertura di corsi su una disciplina, antica quanto l’uomo, incline 
  a porsi domande sul senso delle cose. Riflessioni per illuminare un tanto difficile 
  cammino, è dunque possibile trovare nella pagina dell’attento filosofo-saggista, 
  confortati dalla sua elegante scrittura di estrema chiarezza, spesso attraversata 
  da accenti lirici.. L’antitesi Oriente-Occidente, con tutte le sue diversità; 
  il contrastante modo di vivere la realtà dell’uomo pre-tecnologico 
  e di quello attuale; la parola autorevole delle grandi menti del passato da 
  Platone, a Nietzsche, Heidegger e Jaspers, solo per citarne pochi fra i molti, 
  fanno da guida e controcanto al viaggio dentro l’anima dell’uomo, 
  “dalla psicoanalisi alla pratica filosofica”. Già Ippocrate 
  – riportato in esergo al testo – affermando che: “Il medico 
  che si fa filosofo diventa pari a un dio”, ci fa intendere in nuce quale 
  sia l’assunto dell’opera che stiamo leggendo.
  “Nella casa di psiche (ovvero dentro la nostra anima ndr) – scrive 
  Galimberti – ha preso dimora un ospite inquietante che chiede, con una 
  radicalità finora sconosciuta, il senso dell’esistenza. Gli altri 
  ospiti, che già abitavano la casa, obiettano che la domanda è 
  vecchia quanto il mondo, perché, dal giorno in cui sono nati, gli uomini 
  hanno conosciuto il dolore, la miseria, la malattia, il disgusto, l’infelicità 
  e persino il ‘disagio della civiltà’ a cui prima le pratiche 
  religiose, poi quelle terapeutiche, con la psicoanalisi in prima fila, hanno 
  tentato di porre rimedio. L’ospite inquietante però insiste nel 
  dire che nell’età della tecnica la domanda di senso è radicalmente 
  diversa, perché non è più provocata dal prevalere del dolore 
  sulle gioie della vita, ma dal fatto che la tecnica rimuove ogni senso che non 
  si risolva nella pura funzionalità ed efficienza dei suoi apparati. L’uomo 
  soffre per l’ ‘insensatezza’ del suo lavoro , per il suo sentirsi 
  ‘soltanto un mezzo’ nell’universo dei mezzi, senza che all’orizzonte 
  appaia una finalità prossima o una finalità ultima in grado di 
  conferire senso. Sembra infatti che la tecnica non abbia altro scopo che il 
  proprio autopotenziamento.”
  Visto che la psicoanalisi sembra inadeguata, atta soltanto alla rimozione del 
  dolore, pur curando le sofferenze dell’anima, è indispensabile 
  il ritorno alla filosofia, perché fin dagli albori, la filosofia non 
  ha esitato a rimettere in questione il mondo. Volgarizzando il concetto, potremmo 
  dire che la psicoanalisi è il medico curante, mentre la filosofia è 
  lo scienziato che studia l’essenza, la ragione profonda della malattia, 
  non esitando a “mettere in questione il mondo”.
  Suggestive le pagine in cui il saggista sottolinea come l’amore nasca, 
  in quanto dialogo, tra due esseri, mentre il dolore “si radica nell’assoluta 
  individualità”. Di conseguenza, “l’analisi del dolore 
  è innanzi tutto un’analisi del linguaggio e della visione del mondo 
  che lo ospita. Le modalità del suo descriversi sono uno spaccato di filosofia 
  della storia”.
  Conducendoci attraverso un suggestivo viaggio nel tema del dolore, il saggio 
  prende note profondamente umane, col problema del malato affidato ad altri per 
  le cure (la delega). La domanda del filosofo si fa sempre più accorata: 
  “ Che tipo d’uomo si va preparando quando le parole del dolore sono 
  affidate alla competenza e alla tecnica?” È questo inaridimento, 
  questa minaccia di inquietudine che preoccupa il saggista, timoroso di vedere 
  l’uomo ridotto a una specie di viandante “che non disponendo di 
  mappe, affronta le difficoltà del percorso a seconda di come di volta 
  in volta esse si presentano e con i mezzi al momento a sua disposizione”.
  Galimberti ci sollecita a una “decisione etica”, visto che gli strumenti 
  filosofici sembrano essere gli unici idonei in un umano cammino sempre più 
  irto di contraddizioni.
Grazia Giordani