Recensioni e servizi culturali
LA FELICITA' DI ESSERE INFELICI
Nuove ricerche sulla gioia di vivere indagano 
  sulla predestinazione alla felicità
  Sembra che oggi si possa parlare di "felicità anagrafica", 
  ereditaria e concreta così come sono concrete le caratteristiche che 
  ci vengono trasmesse dal nostro Dna.
  A sostenere questa teoria oltranzista, sono ancora una volta studi americani, 
  compiuti da una università del Minnesota, condotta sul campione di 1.500 
  gemelli, indipendentemente dalle condizioni oggettive - ricchi o poveri, single 
  o accoppiati, persone di cultura elevata o modesta - il modello di autostima 
  e quindi di soddisfazione esistenziale è scritto nel nostro codice genetico, 
  così come è scritto il colore degli occhi, dei capelli, della 
  pelle o il nostro talento artistico o le nostre pulsioni in qualunque campo
  Due grandi scuole di pensiero vanno dibattendosi sul tema della felicità 
  : la prima è detta top-down, ovvero "dal centro-alla periferia" 
  e sostiene che solo la personalità dell'individuo e le sue caratteristiche 
  peculiari contano, per cui un uomo di natura ottimista porterà nel suo 
  vissuto questa sua caratteristica, indipendentemente dalla valenza oggettiva 
  degli avvenimenti. La seconda scuola è detta bottom-up " 
  dalla periferia-al centro" e identifica lo "star bene" con la 
  quantità e l'intensità di eventi positivi in cui l'uomo si imbatte 
  nel corso del suo esistere.
  La felicità è dunque un "gene" o è piuttosto 
  un progetto di vita ?
  E' davvero possibile identificare il buon umore e l'allegria con una molecola 
  ?
  Le condizioni ideali per il benessere potrebbero essere frutto di una specifica 
  "cultura". Ci sono infatti società dagli ideali "spartani", 
  quasi ascetici, ed altre volte ad una impostazione ludica ed edonistica della 
  vita : la Grecia classica era incentrata sul concetto di bellezza e felicità 
  ; l'Europa della Controriforma privilegiava la mortificazione, pur sempre in 
  vista di una felicità futura ed ultraterrena. Nessun modello sociale 
  può dunque prescindere dalla felicità intesa come bisogno primario 
  dell'uomo, cambia storicamente solo il posto assegnato alla soddisfazione individuale 
  dentro una gerarchia di valori collettivi.
  Spesso la felicità è un sogno e si ha la tendenza a proiettarla 
  nel passato, colorandola di valenze mitiche o nell'utopia di un futuro sperato.
  Dal Sillabario delle emozioni, edito da Giuffrè - scritto a due 
  mani da Valentina d'Urso e Rosanna Trentin - che si potrebbe instaurare una 
  "politica" della felicità, annullando l'utopia della soddisfazione 
  individuale e costruendo un progetto percorribile della giustizia e dell'uguaglianza 
  sociale.
  Ma non sarebbe anche questa una nuova utopia ?
  Secondo l'autorevole Alberto Oliveiro, docente di psicologia all'Università 
  di Roma, in questi tempi le ricerche - invero molto alla moda - sulla mappatura 
  del Dna avrebbero contribuito a rinforzare l'idea che ogni individuo sia unico 
  e definibile con una formula ; comunque tutto questo è semplicistico, 
  poiché si può solo sostenere che sono stati identificati geni 
  responsabili di alcuni aspetti del nostro carattere, ma i nostri comportamenti 
  sono e restano tratti complessi a cui sovrintendono geni plurimi che interagiscono 
  tra di loro.
  Qualche studioso si va anche chiedendo se l'ingegneria genetica potrebbe divenire 
  l'ingegneria della felicità. Ma è giusto e morale ridurre il buon 
  umore a una molecola ?
  Forse è meglio considerare la felicità frutto di un momento di 
  grazia, nato magari soltanto da uno sguardo o da un'angolazione particolarmente 
  felice sul mondo.
Grazia Giordani