Recensioni e servizi culturali


Le figlie di Hanna di Marianne Fredriksson, Longanesi & C.

DONNE ALLO SPECCHIO IN UN MONDO MASCHILE
Poco importa che la vicenda si svolga, all'inizio, nel selvaggio Dalsland - terra ostile al confine tra Svezia e Norvegia - o che prosegua, nel dipanarsi della narrazione, nella città di Göteberg della prima metà del Novecento, più civile ed evoluta; la situazione del mondo femminile resta pressoché la stessa: quella di donne costrette a vivere in un mondo costruito su scala maschile. Questo è sostanzialmente il tema dell'ultimo romanzo di Marianne Fredriksson Le figlie di Hanna, uscito in Italia per i tipi di Longanesi, tradotto da Roberto Bacci.
L'autrice, nata in Svezia nel 1927, ha lavorato come giornalista presso numerose testate nazionali e, dal 1980, si è dedicata alla narrativa. Le figlie di Hanna, romanzo di enorme successo in Svezia, è stato tradotto in varie lingue e - soprattutto in Germania - è rimasto per lungo tempo in vetta alle classifiche di vendita.
La Fredriksson ci propone una saga familiare che - per analogie geografiche - ci riporta a quella della conterranea Selma Lagerlöff (due volte citata dalla scrittrice nel corso del romanzo, a proposito delle letture di Johanna, una delle protagoniste) che nel 1909 ricevette il premio Nobel con l'affascinante romanzo La saga di Gösta Berlings in cui si riflette un clima incantato di leggenda, di cui ritroviamo qualche larvata eco anche nel romanzo dell'autrice attuale.
Attorno ad Hanna, Johanna ed Anna nonna, figlia e nipote si snoda la trama della narrazione strettamente legata alle loro vite: una "trinità" femminile di donne profondamente "marchiate" dall'essenza della loro femminilità.
Sebbene quasi un secolo separi la nonna dalla nipote, nonostante i mutamenti sociali di netto cambiamento - ottenuto attraverso le lotte operaie e il femminismo -, scandito dagli eventi bellici e dal passaggio dall'aspra vita agreste inizio Novecento, alla miglior condizione economico-sociale della famiglia inurbata in città, le tre donne ripetono grosso modo lo stesso copione esistenziale, assuefatte e in certa maniera condizionate, quando non addirittura prevaricate, dal maschio che vive loro accanto.
Hanna, dodicenne, aveva vissuto l'onta di uno stupro e la vergogna di essere considerata immorale per il suo stato di madre di un "bastardino"; Johanna sposa un uomo debole e collerico, sottomesso edipicamente a una madre incombente; Anna si marita con un "incantatore", un uomo che non sa resistere alla tentazione di provare il suo fascino sulle donne che incontra sul suo cammino.
Anche se il marito di Hanna è un generoso mugnaio che la sposa senza farle pesare la situazione di cui non è certo colpevole e si rivela un padre affettuoso per Ragnar, pur tuttavia non è certo l'ideale dei mariti, tendente all'alcol come molti uomini dei suoi tempi, pieno di malinconie, vulnerato da precedenti lutti familiari. Lo sposo di Johanna, oltre ad avere un carattere fragile e nel contempo irascibile è anche svelto di mano e non risparmia le percosse alla consorte. Anna divorzierà dal fedifrago per poi risposarselo con l'incoerenza tipica della donna che non si è effettivamente e del tutto emancipata.
Sembrerebbero diverse le tre protagoniste del romanzo: dura la nonna perché le sofferenze e le umiliazioni l'hanno inasprita, più sentimentale la figlia - anche se profondamente coinvolta nelle rivendicazioni sociali. "Per tutta la vita rimase politicamente attiva - scrive la Fredriksson - e sono stati quelli come lei, la sua generazione, a costruire lo Stato sociale basandosi sul convincimento che la giustizia è possibile. E a crescere una generazione di donne e uomini insoddisfatti, scarsamente temprati al dolore e alla sofferenza, e del tutto impreparati ad affrontare la morte". Più indipendente la nipote che svolgerà attività di giornalista e scrittrice (che nell'anima di Anna vi sia un po' del carattere della Fredriksson stessa?), ma non del tutto liberata dai freni che hanno imbrigliato la vita delle sue strette ascendenti.
Felicità e disperazione sono scritte nella pagina in un'alternanza del tutto naturale e domestica, con note realistiche che si alternano ad abbandoni lirici, rendendo varia e ricca di contenuti la trama complessa, non scevra anche da flebili note di mistero che ci ricordano l'origine nordica dell'autrice.
Orgoglio e dignità sembrano essere le due componenti più forti del temperamento delle tre figure portanti del romanzo a cui si affiancano personaggi femminili minori, pure descritti con abili tratti.
Le figlie di Hanna è anche un romanzo d'amore, privo però di sdolcinato romanticismo, pur mantenendo sempre la sua caratteristica di veritiero specchio in cui molte donne potrebbero riflettersi, ritrovando uno spicchio delle loro esperienze, una scheggia del loro vissuto, una tessera di quel misterioso mosaico che è la vita di tutte noi: un canto corale in cui ogni essere femminile potrebbe inserire la propria voce, legandola a quella delle protagoniste, come se fossero reali compagne di viaggio nel loro cammino terreno.
Si ha la netta impressione che il romanzo dell'autrice svedese sia scritto da una donna per le donne, ma affinché gli uomini sappiano, pur disperando che e possano o vogliano anche meditare.

Grazia Giordani

Torna all'indice delle Recensioni