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Nel chiaro della notte di Fulvio Tomizza, Mondadori

I SOGNI SVANISCONO ALL'ALBA
Sarebbe piaciuto a Fellini un racconto così. Ci riferiamo al primo, incontrato leggendo Nel chiaro della notte, la silloge - fresca di stampa - che Fulvio Tomizza ha pubblicato per i tipi della Mondadori. Il grande riminese che non è più fra noi ne avrebbe saputo trarre uno di quei suoi film onirici in cui sogno e realtà si fondono in un'amalgama inquietante che intriga lo spettatore. E Il trio Mystic - così si intitola il racconto d'apertura a cui facciamo riferimento - ha proprio quel tono di favola, popolata di saltimbanchi, che intendiamo sottolineare per coinvolgente incantamento e onirica magia.
"Dove saranno finiti Mystic, la sua bella figlia con le trecce castane, l'amante Albina, prosperosa e dalle pupille rosse, priva di un pelo persino sul sopracciglio, la quale cadeva in catalessi e nella vita fungeva da matrigna?" - così esordisce Tomizza, ospitandoci, senza preamboli, dentro il suo immaginario della notte e rendendoci complici, fin dalle prime righe, delle sue fantasie più intime e altrimenti inconfessate, entrando in un mondo dove tutto è possibile: che l'autore venga accecato dalla bella Rosa, sua fidanzata e figlia di Mystic (per cui il campo visivo gli "venne occupato dall'intera figura del capo che, ripartita in quattro sezioni, (gli) pareva ulteriormente allungata e tetra"); che i morti parlino e ritornino a morire ; che i congiunti o i paesani appaiano in età e in luoghi diversi; che a Milano si possa arrivare con la nave (Come persi la nave per Milano); che Tomizza stesso abbia la facoltà di partire in aereo senza aeroporto (come scrive in Volo individuale: "...io volo, ma mi ci vuole il luogo adatto da cui staccarmi da terra. Non preoccuparti, l'ho fatto altre volte, ci sono abituato".
I luoghi sono quelli in cui l'autore ci ha da anni "trasportati", qui visti comunque con l'occhio allucinato di chi sta sognando, o frammisti a posti irreali, che la carta geografica ignora, in un mosaico di possibilità infinite. L'Istria, il Carso e la Dalmazia continuano ad essere terre d'elezione anche quando l'autore appoggia la testa sul cuscino, poiché quello è il mondo che più ardentemente porta dentro di sé, come in Visita ai miei luoghi, dove "la pioggia infittisce e tanto vale puntare diritti sui nostri luoghi: miei e del vecchietto di Umago. Anche per strada c'è ben poco da vedere. Il cattivo tempo appiattisce ogni cosa, tutto appare grigio, fumoso, sprofondato in una stagione neutra che non consente neppure alla terra rossa né ai roveri dalla chioma fulva di assumere rilievo, colore. È l'eterno tempo di un'Istria povera, lontana, dove la vita sonnecchia perfino nelle case e se qualcuno azzarda a mettersi su una strada è per portare il grano al mulino; fradicio quanto i buoi o l'asino".
Ci sono pagine molto forti in cui il sogno è soprattutto incubo, come in Ultimo ritorno del padre, in cui la madre porge ai fratelli Tomizza "la testa del padre interamente stretta in pezze di lana" e ancor più in Donna crocifissa che è forse il più cruento e straziante degli incubi dell'autore. A questo proposito sarebbe troppo facile fare della spicciola psicoanalisi sui sogni tomizziani, sulle sue angosce della notte, sul suo bisogno di attorniarsi della rassicurante cerchia di persone care: Laura, la moglie, Franca, la figlia, i suoceri a cui è legato da affetto profondo, gli amici, la gente semplice, la sua casa di Materada che sogna invasa dei ladri. Timori dichiarati o sotterranei emergono da quell'antro profondo della coscienza da cui Freud sapeva pescare a piene mani, frugando dentro la nostra psiche.
L'autore de L'albero dei sogni (il sogno già da allora aveva grande importanza nella sua pagina) con cui nel '69 vinse il Viareggio) e della Miglior vita (Premio Strega del '67); degli Sposi di via Rossetti nel '93; dei Rapporti colpevoli nel '94 con cui vinse il Boccaccio e di Franziska nel '97 - quattro volte finalista al Campiello -, insignito a Vienna del Premio di Stato austriaco per la letteratura europea, tradotto nelle principali lingue, anche Nel chiaro della notte, pur nella malinconia onirica del suo raccontare, ha spesso note di piacevole ironia che si fa autoironia ne Il premio dei premi e amaro sorriso in Ultimo appestato a Venezia.
Nell'ultima pagina, Tomizza si congeda da noi "nella piena luce diurna", ormai il diafano chiarore della notte, con le sue magiche suggestioni, lo ha abbandonato, i sogni sono lontani, svaniscono all'alba, ma non tanto da non aver lasciato una scia opalescente di immagini e voci in dissolvenza, anche nei nostri pensieri.

Grazia Giordani

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