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Quid est, Catulle? di Pelopida Tironi

Il Quid est, Catulle? di Pelopida Tironi è giunto - approdando alle "Giubbe Rosse" alla terza tappa del suo glorioso viaggio, iniziato il 12 gennaio scorso al Circolo della Stampa rodigino e proseguito in Accademia dei Concordi a Rovigo.
Prima di parlarvi dei contenuti e della trama di quest'opera a metà tra il saggio e il romanzo, ritengo si debba tracciare un profilo dell'autore che ha avuto una vita più romanzesca del suo romanzo stesso, sempre in viaggio in paesi lontani, a progettare le più belle fabbriche alimentari, in tutto il mondo.
Già nel suo nome sembrano esserci i prodromi di un destino versato al mondo dei classici : Pelopida il grande generale tebano, Tirone il dotto liberto di Cicerone, suo scrivano. L'amore ai classici ha animato tutta la sua vita e il romanzo imperniato sulla vita di Catullo ci dà prova tangibile della serietà dei suoi studi.
L'autore immagina che Cornelio Nepote - che è il suo nom de plume - visto che Tironi stesso sembra indossarne le vesti - e flavio, amico fraterno di Catullo, intraprendano un viaggio al fine di ripercorrere la vita e riordinare l'opera da puibblicare dell'amico scomparso (Cornelio Nepote sembra essere polesano, nato tra l'Adige e il Po, come afferma G.B.Pighi).
I due ricordano l'iter vitale catulliano viaggiano sulle vie consolari Popilia e Flaminia, poi su quelle della Padania - da Roma fino alla casa di Cornelio sul Po - giusto in tempo per presenziare alle Parentalia, le feste dei morti che si concludevano il 26 febbraio : siamo nel 44 a.Ch . , l'anno dell'assassinio di Cesare.
Nell'opera di Tironi vi è un giusto dosaggio fra storia pura, tratta dagli Annali di più illustri storici del tempo e ricostruzioni fantastiche, sempre nel rispetto della VERISIMIGLIANZA, anche quando non è stretta verità.
Catullo ci appare in tutta la sua umanità - non solo nella sua grande valenza di poeta - e con lui i personaggi che lo attorniano con i loro tic, le loro debolezze, mai deificati, personaggi di plastica, non verosimili.
L'AMORE E' UN GRANDE TEMA DEL ROMANZO.
Tironi è molto indulgente con la donna. Giustifica persino Lesbia (Claudia-Clodia), introducendo un mirabile deus ex machina finale, atto a riscattare la volubile e fedifraga amante del poeta veronese.
Solendido il ritratto di Cleopatra esoterica ed affascinante, umanissime le figure di Matura e Ipsilla. L'autore porta nella pagina il suo vissuto, le sue esperienze.
Romanzo di onomatopee non solo foniche, ma anche capaci di farci intendere gli odori, i profumi, onomatopee della vita stessa. Quella dell'autore si intreccia con quella del poeta, con TRANSFERT continui, densi di grande efficacia narrativa.
Grandi valenze cromatiche nella descrizione dei paesaggi che ci fa pensare ai vedutisti di tradizione veneziana a cui fa da controcanto una musica vivaldiana : sentiamo tutto l'incanto della musica del Prete Rosso.
Le traduzioni dei carmi di Catullo - che inframmezzano l'opera - sono suture poetiche, pretesto per farci amare e riscoprire una poesia a noi cara fin dagli anni dell'adolescenza.

La fiamma della lanterna sull'altare dei Lari ondeggiò gialla e rossa e a quella luce io vidi il simulacro della madre muoversi verso di noi. Illa aveva lo sguardo fisso su quella figura e si chinò sul viso di Catullo per sentirne l'ultimo fiato e aspettò immobile finché la madre le disse :"Dallo a me, ora".
Io vidi quando Illa sentì il peso dell'uomo caderle addosso e quando la madre glielo tolse e sul petto di lei non roimasero che le spoglie del morto, leggere come la crisalide che la farfalla abbandona quando vola via o come il baccello del villucchio che ha sparso i suoi semi per terra.
Anche la luce del nuovo giorno entrava a fiotti e mi abbagliò quando tolsi le mani dagli occhi. Vicino a me vidi Matura immobile.
In quella luce Illa, in piedi, con le braccia alzate, con tutto il fiato che si era preparato in petto - secondo l'uso della nostra gente - gettò al mondo il suo grido di dolore.
L'urlo riempì la stanza, corse nei corridoi, giù dalle gradinate, calò dai balconi e rotolò fino ai viottoli, alle porte delle capanne dove la gente vegliava e aspettava la nuova. Risuonò più lontano fra i colli ancora scuri, si disperse fra gli ulivi per diluirsi alla fine nel leggero velo di bruma che galleggiava in alto sul lago del colore di una conchiglia aperta.
Quando il grido finì e l'eco si spense nei suoni del mattino, gli uomini scoprirono il capo e si volsero verso il sole, mentre le donne si prostrarono e piansero Catullo, battendo le mani sulla nuda terra, secondo l'uso della nostra gente.

Grazia Giordani

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