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L’inverno fu particolarmente
duro e cadde molta neve anche in pianura. Castelvecchio si specchiava,
al tramonto di un sole invisibile, in acqua d’ardesia, monocroma
e molto triste. I tavolini all’aperto, davanti ai caffè,
erano stati ritirati tutti, perché nemmeno il tedesco più
ostinato avrebbe osato prender posto senza riparo per ammirare, standosene
seduto, i millenni che l’Arena si porta addosso come un vestito
perenne, insensibile alle mode.
Helga non aveva rinunciato alle sue quotidiane passeggiate. Abituata ai
rigori della montagna, vissuti nella sua casetta prospiciente il lago,
lassù immersa nel bosco, non aveva paura del clima freddo cittadino.
Buona parte del pomeriggio le apparteneva completamente; al di là
della scuola non aveva né obblighi, né impegni. I suoi genitori
erano morti da anni, a poca distanza l’uno dall’altra; i suoi
fratelli abitavano lontano e li vedeva raramente..
Un vita metodica la sua. Lezioni il mattino, minuziosamente preparate
nei pomeriggi precedenti; correzione dei compiti; riunioni a scuola; spese
al supermercato con una lista puntigliosamente scritta, anche se comprava
sempre le stesse cose; controlli dal dentista due volte l’anno;
rari acquisti di vestiario; abbonamento a teatro; visite regolari in libreria
e biblioteca.
A parte qualche raffreddore, non ricordava di essersi mai ammalata, nemmeno
le malattie dell’infanzia l’avevano importunata; non si era
mai ubriacata, sebbene non fosse astemia; non aveva mai ecceduto in nulla.
Una bottiglia di essenza profumata (da vent’anni sempre quella stessa
marca!) le durava all’infinito, perché detestava dare nell’occhio,
sobria fino all’esasperazione e ormai sempre più persuasa
che l’eccesso di virtù fosse un grave difetto. Ma non poteva
farci nulla. Andava prendendo sempre più consapevolezza del fatto
che Sandro si fosse annoiato per la sua piattezza, per la sua mancanza
di emozioni dimostrate all’esterno e di voglia e capacità
di cambiare almeno pettinatura, se non idee importanti, nella vita.
Lo aveva rivisto, per la prima volta dopo l’abbandono, dentro un
negozio a fare acquisti, e aveva fatto finta di nulla, sperando di essere
passata inosservata. Gli era al fianco una bionda molto alta e vistosa.
«Com’è banale la vita! – pensò –
tutto si sta svolgendo come nel copione di una dozzinale pièce
teatrale, una di quelle che nemmeno i filodrammatici più scalcinati
vorrebbero più recitare. La storia di un uomo di mezz’età
che lascia una sua coetanea per mettersi con una vamp da strapazzo e che
– cosa ben più grave – mi costringe a considerazioni
tanto acide, lontane dalla normalità del mio temperamento.»
Insomma, provò più risentimento che dolore.
Il dolore lo aveva rimosso, lasciandolo tutto o quasi nell’amato
cottage, lassù in montagna.
***
Un paesaggio limpido, di primavera piena,
l’accolse gioioso al suo arrivo sul monte.
Dai prati fioriti esalava un profumo delicato e il lago ammiccava fra
i pini, lanciandole occhiate di luce, amichevoli e rassicuranti. Aveva
sempre avuto Helga un rapporto intimo e personalizzato, con la natura
circostante.
Stava per oltrepassare la casa del vicino, che non aveva mai più
visto dopo quel fortuito incontro al caffè, quando si sentì
chiamare per nome a gran voce.
Questo atteggiamento confidenziale le piacque.
Aveva un modo tutto suo di pronunciare la elle interna di Helga, che –
fra le sue labbra – assumeva una sfumatura insinuante che mai prima
le era capitato di udire.
«Finalmente sei arrivata! Conosco il tuo nome, ma penso tu non ricordi
il mio. Mi chiamo Carlo.»
Anche nel pronunciare Carlo, la stessa consonante interna prendeva un
tono particolarmente stuzzicante, che le fece battere le ciglia, come
se avesse visto quanto stava semplicemente udendo.
Carlo era certamente più giovane di lei di una decina d’anni.
La maglia a maniche corte lasciava vedere i muscoli delle braccia, arti
più da montanaro che da scrittore. Aveva una figura vigorosa, e
– a dire il vero – emanava vigore da tutta la sua persona.
«Ti aiuto a scaricare i bagagli?»
«Non ho portato molto. Non scomodarti.»
«Così ho la scusa per entrare in casa da te…»
Helga sorrise, mentre si lasciava aiutare, felice di averlo nuovamente
incontrato.
Il suo nuovo amico si chinò, con naturalezza, ad accendere il caminetto.
«Dopo tanti giorni di chiusura, la casa è umida, anche se
fuori fa abbastanza caldo.»
Scesa dalla stanza dove era andata a riporre il bagaglio, trovò
già la caffettiera sul fuoco, mentre l’aroma intenso si diffondeva
nella stanza.
Il suo modo di fare, sicuro, senza preamboli, le piacque.
«Questa casa ti somiglia. Qui devi vivere molto bene. Un tempo avevi
un compagno, ma non ti chiedo nulla, se ti fa male parlarne…»
Grazia Giordani
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