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    Anni fa, nel paese (città onoraria 
        per mano di Francesco Giuseppe) dove vivo, mi dicono che – all’arrivo 
        dei treni della sera – ci fosse alla stazione, nelle ore più 
        buie e nebbiose, delle nostre nebbiose stagioni, una “lucciola” 
        (ma potremmo chiamarla tale visto che pesava un’ottantina di chili?) 
        in bicicletta, pronta a convincere, con rassegnata insistenza, qualche 
        viaggiatore in arrivo, a godere dei suoi servigi. Normalmente, queste 
        lavoratrici, usano l’automobile, fatto per cui, mi sono sempre chiesta 
        come si sarebbe potuta svolgere sopra un biciclo la “consumazione”. 
        Consultando nuove pagine di un compiacente Kamasutra? Boh, chissà…! 
        Restando in tema, del resto si sa che stiamo parlando del più antico 
        mestiere del mondo, una trentina d’ani fa, sempre una di queste 
        signore svolgeva la sua “professione” il mercoledì, 
        giorno – da noi, allora - del “mercato bestiame”, ovvero 
        della compravendita di mucche, asini e vitelli, occasione in cui acquirenti, 
        mediatori e venditori, sentivano più forte il bisogno di un po’ 
        di sollievo dalle fatiche (infatti non erano i latini che chiamavano postribulum 
        , ovvero (post) dopo la tribolazione, sofferenza (tribulum) 
        questi luoghi di svago?). 
        Il mercoledì, dunque, l’Ombrelara, visto che gli 
        altri giorni riparava ombrelli, consegnava dei rudimentali biglietti, 
        scarabocchiati a matita, con sopra dei numeri progressivi, allo Slavo 
        - suo bellissimo convivente (che veniva da paesi oltremare), alto biondo, 
        sguardo di cielo, delinquente della peggior specie - perché li 
        distribuisse agli affannati compra-venditori, affollati davanti alla porta 
        della catapecchia sotto le rive dell’Adige. 
        Il nostro medico di famiglia, un mercoledì, al ritorno dalle visite 
        a domicilio, avendo visto questa folla di uomini, pare li abbia interpellati: 
        «Cossa fèo chi?»-«Cosa fate qui?». 
        Dicono che gli aspiranti consumatori abbiano risposto: «Aspetèmo 
        el nostro turno»-«Attendiamo il nostro turno»… 
        L’ultima, e poi non parleremo più dell’argomento. 
        Sempre in quegli anni, c’erano due sparute “esercitanti” 
        che vivevano in un vicolo, dette le Tamisàre; il tamiso 
        in dialetto palesano è il setaccio; cosa setacciassero le signore, 
        non mi è dato sapere… 
        Comunque, si racconta che ricevessero due maturi fratelli alti ufficiali, 
        cui offrire la loro opera congiunta, e che praticassero lo “sconto 
        famiglia”, visto che i consumatori erano in due… 
      (alla prossima) 
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