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    «Tienti pronta per un 
        grande servizio, qualcosa di sensazionale!» - pressappoco questo 
        è stato il tenore della telefonata del nostro medico di famiglia 
        -! 
        «Ma di cosa dovrò parlare?» 
        «SSSSSSSSSSSSSSS» 
        «SSSSSSSSSSSSSSS ?» 
        «Silenzio, che anche i muri potrebbero sentirci!» 
        «Insomma, di cosa si tratta?» 
        «Fatti più vicina alla cornetta…» 
        «CSSPSSSTSSSTSTTTSZZ» 
        «Non ho capito niente!!!» 
        «Te lo dirò domani di persona» 
        «Clic» 
        «Ri-clic» 
        «Lino – domani, rivolta a mio marito – cosa dovrà 
        dirmi mai il dottore?» 
        «Mi digo ch’el xé deventà mato – 
        Io dico che è diventato matto!» 
        E la notte era lunga e non passava mai. 
        E non veniva l’indomani. 
        E l’indomani venne.  
        «Un fatto grosso: a Badia c’è un’indemoniata» 
        «Non potrebbe essere un caso di follia?» 
        «No, no. Sana, è sana di mente, ma ha fenomeni di xenoglossia 
        (per cui in stato di trance si esprime in lingue a lei sconosciute) 
        e di levitazione…» 
        «Come le torte?» 
        «No, quelle lievitano» 
        Pochi giorni dopo, partiamo con un pullman, organizzato dal dottore, “abitatato” 
        da partecipanti che avevano tutti più o meno qualcosa di demoniaco. 
        L’indemoniata che “levitava” in primis, un 
        giovanotto un po’ meno toccato dal satanico, in secundis, 
        e poi c’erano mamme e nonne con indumenti da far benedire, di parenti 
        discoli (soprattutto mutande, chissà perché?). 
        Arrivammo a Sarsina, sprigionanti zolfo e ansiosi di liberare dai demoni 
        chi ne avesse in corpo. 
        Là c’era un famoso esorcista che avrebbe fatto al caso nostro. 
        Misero al collo di tutti noi il collare di San Vicinio, famoso esorcista 
        del passato. 
        Tutti guardavamo l’”indemoniata”, in attesa che si scatenasse. 
        Niente. Pallidissima, se ne restava immobile e non dava segni di demoniaco. 
        Siamo venuti fin qua per niente, pensavo, rattristata. Non avrò 
        nulla di cui scrivere. È stata una solenne “bufala”… 
        In quel mentre, un aitante giovanotto romagnolo, sostenuto da sette parenti, 
        si mise a ululare, bestemmiare in strane lingue, blaterare in altrettante. 
        «Ecco la xenoglossia!» - gridava la gente… A me sembrava 
        che bestemmiasse in romagnolo puro, ma non osavo contraddire gli esperti. 
        Spogliò l’esile esorcista, riducendolo in mutande; soffiò; 
        urlò; saltò; volteggiò: a stento trattenuto dai sette 
        volontari, sempre caricato da preci e crocefisso puntato. Alla fine si 
        accasciò a terra. Il demone era sconfitto. Così dissero 
        gli esperti. E a me fu dato scrivere uno dei pezzi di cronaca più 
        coloriti e importanti della mi carriera. 
        La nostra “indemoniata”, se ne stava lì buon buona; 
        (sciagurata!) non mi procurava notizia. Verso sera mangiò abbondantemente, 
        sulla via del ritorno. 
        «Eto visto che la gavéa un diavolo magnòn?» 
        - Hai visto che aveva un diavolo mangione?  
        Non potè trattenersi dal commentare il mio rassegnato marito, sulla 
        via del ritorno. 
      (alla prossima) 
       
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