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    All’epoca della mia collaborazione 
        al “Carlino”, il caporedattore mi commissionò servizi 
        ironico-veritieri sulla mia piccola città:  
        «Cosa mangiano, cosa bevono, cosa leggono, come amano i badiesi? 
        E dove vanno in vacanza? E cosa spendono…?» 
        Tenendo conto della naturale ritrosia dei veneti a parlare di se stessi 
        (inclini come sarebbero, per loro propensione, piuttosto a parlare del 
        prossimo), non è stato un facile compito il mio… 
        Quasi fischiettando, per darmi un contegno (a questo proposito, mi viene 
        in mente una signora locale che usa dire: «lo fago par darme 
        “tuono” – lo faccio per darmi “tuono”…), 
        mi rivolgevo alle signore sedute al bar, intente al consueto gossip, per 
        farle parlare sugli usi alimentari; e poi ai loro mariti, sulle performance 
        amorose, mettendo insieme un mucchio di bugie, che, cucite con le mie 
        osservazioni e commenti, diventavano qualcosa di esplosivo che faceva 
        vendere più copie al quotidiano. 
        Comunque, quello di cui vorrei parlarvi più diffusamente, è 
        il mio pezzo sulle libagioni dei miei concittadini. 
        Una bella mattina, supportata dal fotografo, mi sono piazzata davanti 
        a un’osteria centrale (a dire il vero l’ultima a mantenere 
        ancora il carattere puro di “trani”, non mascherato da bar) 
        e ho cominciato ad intervistare gli estimatori di Bacco, partendo dall’oste. 
        «Chissà come sono fini intenditori del vino, i suoi clienti!!!» 
        «Scherçela?, Co chi xè imbriaghi, i ne sa più 
        gnente, i bevarìa, anca Caifa… - Scherza? Quando sono 
        ubriachi, non sanno più niente, berrebbero anche Caifa». 
        Non ho fatto obiezioni su questo Caifa, sinonimo di triste bevute, e – 
        spingendomi all’interno del locale, fumoso e “inebriato”, 
        come molti dei suoi avventori, ho chiesto a uno, solitario e cogitabondo, 
        davanti a un mezzo litro: «Perché tutto solo?» 
        «Cara ela - a parte che i no xè fati sui – ma mi, 
        quando ca son in compagnia del goto, a no vedo più nissuni; la 
        se pensa che, alçandome la matina dal leto, a no saludo mia me 
        mujère, el fiascon, la damigiana , mi saludo; ne tegno 25 litri, 
        fa’ on scooter…- Cara lei – a parte che non sono 
        fati suoi – ma io, quando sono in compagnia del bicchiere, non vedo 
        più nessuno; pensi che, alzandomi, il mattino dal letto, non saluto 
        mia moglie, il fiascone, la damigiana, saluto; ne tengo 25 litri come 
        uno scooter». 
        Per fotografarli, in gruppo, questi allegri signori, abbiamo dovuto “puntellarli” 
        contro il muro. E quando eravamo già sulla porta, un voce dal fondo 
        ha gridato: «E me racomando la scriva: “ a quei che no 
        ghe piase el vin, che Dio ghe toga anca l’acqua!”- E 
        mi raccomando, scriva: A quelli a cui non piace il vino, che Dio tolga 
        anche l’acqua! ». 
      (alla prossima)  |