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Incerta se continuare con il filone degli
attori di prosa, all’epoca della mia parentesi di critica teatrale,
o continuare con quello delle amicizie derivate dalla mia esperienza –
tuttora in atto – di critica letteraria, opto per la seconda, toccando,
ora, solo la parte che riguarda la vita di questa piccola città,
in cui vivo.
«Faresti un po’ di compagnia a Fulvio Tomizza, nostro ospite
domani?»
Non avevo quasi fiato per rispondere al presidente della locale biblioteca.
Fulvio Tomizza! Avevo letto quasi tutti i suoi romanzi (innamorata del
suo «Materada») ed ero andata in “pellegrinaggio”
a Trieste, per vedere il Caffè Tommaseo, dove lui solitamente si
appartava a scrivere. In quella occasione, a dire il vero, avevo visto
solo lo storico caffè in quanto tale, semideserto, con un cameriere
d’ “epoca” che – penso – non si fosse più
schiodato di lì dal milleottocento e rotti…
Lo andai a prelevare all’albergo e mi parve subito di essere stata
da sempre con lui. Parlammo con naturalezza del romanzo che era venuto
a presentarci: «Gli sposi di Via Rossetti»; dei suoi romanzi
precedenti; della sua vita di scrittore di “frontiera”; mangiammo
quasi con simultaneità di gesti, un gran gelato; «e venne
subito sera…».
La serata della sua presentazione.
Lo rividi l’indomani.
Cominciammo a corrispondere per lettera e a scambiarci qualche rara telefonata.
La redazione mi affidava tutti i suoi nuovi romanzi da recensire.
L’amicizia si rinsaldava anche con Laura, l’intelligentissima
moglie, e con mio marito e nostro figlio.
Se capitava nel Veneto, veniva a pranzo da noi, mangiava di gusto e beveva
volentieri.
«Fulvio, gli disse un sera mio marito, perché hai sempre
quell’ aria malinconica?»
E lui: «Sarà la mia anima slava».
Istriano di nascita, e triestino d’adozione, certamente viveva un
dualismo interiore fra le due terre. Pur essendo molto discreto, questo
bellissimo uomo, non era un introverso; se entrava in clima di confidenza,
sapeva aprirsi e, per esempio, dirmi….
(alla prossima)
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